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MediaTech
Smart speaker, radio batte Spotify. 'Un'opportunità. Aumenta durata d'ascolto'
Foto LaPresse

La società di consulenza americana per i media NuVoodoo qualche settimana fa ha pubblicato sul suo sito un post dedicato alle radio. Il titolo era "Gli smart speakers sono realmente così importanti?" e subito ha dato una risposta: secondo il suo ultimo report il 51% del campione di 3 mila persone fra i 14 e i 54 anni analizzato negli Stati Uniti possiede almeno un altoparlante intelligente. Secondo quanto riportato da  ItaliaOggi a gennaio erano il 43% un anno prima il 33%. Ma non è tutto: il 42% del campione usa gli smart speaker per ascoltare lo streaming di stazioni fm, percentuale che era del 39% sei mesi prima ma soprattutto più alta di quella degli utenti che usano questi dispositivi per ascoltare Spotify (36%), Amazon Music (32%), Pandora (28%), audiolibri e podcast.

"Gli operatori radio americani stanno gradualmente approfittando dell'opportunità di guadagnare ascoltatori attraverso gli smart speaker", spiega a ItaliaOggi Leigh Jacobs, executive vice president research analysis di NuVoodo. "Sento sempre più annunci sulle stazioni qui che consigliano agli ascoltatori cosa devono dire al loro altoparlante intelliggente per far ascoltare l'emittente. Questi dispositivi forse non saranno la "fonte primaria" con cui sarà consumata la maggior parte della radio, ma un'importante fonte di ascolto sicuramente sì".

In Italia ovviamente le cose non stanno ancora in questo modo precisa ItaliaOggi. Gli smart speaker sono sul mercato da poco più di un anno e mezzo (prima Google Home a marzo, poi Amazon Echo a ottobre) e nonostante la loro adozione stia crescendo a buon ritmo, l'utilizzo è ancora limitato (così come imperfette e incomplete sono ancora le funzioni, in realtà). La radio, però, là dentro c'è e dal momento che i ricevitori casalinghi vanno sparendo, saranno questi i dispositivi in grado di sostituirli e persino di aumentare le occasioni d'ascolto.
Il problema è che l'ascolto delle radio oggi passa perlopiù attraverso TuneIn, l'aggregatore americano che utilizza i flussi di streaming delle emittenti di tutto il mondo mettendoli a disposizione degli utenti ma senza scambiare i dati di ascolto con i broadcaster e tantomeno senza riconoscere loro uno share della pubblicità che raccoglie.

Sono poche, come sottolinea ItaliaOggi, le emittenti nazionali che hanno sviluppato una propria presenza autonoma su tutti gli smart speaker con skill o action, le applicazioni che consentono di ascoltare il live così come l'on demand dei programmi: l'assistente di Amazon, Alexa, è sicuramente quello che ha la maggiore presenza di radio italiane fuori da TuneIn, grazie al supporto e alla spinta della società americana: si trovano per esempio le emittenti del gruppo di Rtl 102,5, RadioMediaset, Deejay, Radio Italia e altre.
Meno nutrito il gruppo sull'assistente di Google, nel quale però c'è dall'inizio Rds, presente su entrambi gli smart speaker. "In Italia siamo nella fase degli early adopters, si deve ancora passare ad un utilizzo quotidiano come negli Usa", racconta Massimiliano Montefusco, general manager di Rds-Radio Dimensione Suono. "I dati sono ancora bassi però abbiamo notato un aumento della durata d'ascolto in casa. Così come le altre piattaforme, gli smart speaker sono un'opportunità per costruire quella che chiamano la total audio e offrire anche servizi a valore aggiunto, perchè già oggi su Google Home o Alexa si può ascoltare semplicemente Rds oppure i 100 minuti con Enrico Mentana o altri podcast de nostri programmi".

La questione TuneIn, poi, per Montefusco è da affrontare a livello di settore, sebbene ci siano emittenti che hanno deciso di vietare all'aggregatore l'utilizzo dei propri stream: "Penso che se ne dovrà occupare Ter, il Tavolo editori radio. Intanto prima pensiamo al Player che sarà importantissimo per le auto, poi vedremo se si può raggiungere un accordo con TuneIn oppure fare una diffida. Per il momento penso che TuneIn sia pur sempre un modo per esserci e raggiungere più persone possibili".

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