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Politica
I molestatori di Colonia non hanno né razza né religione. Sono maschi sessisti


Di Cecile Kyenge

Contro il sessismo, contro il razzismo. In questo slogan, su un cartello che ha accompagnato la manifestazione promossa dalle donne di Colonia martedì sera, è racchiusa la risposta che considero più lungimirante e giusta a quell'orrore inaccettabile a cui sono state sottoposte decine e decine di donne molestate nella notte di Capodanno nella città della Renania. Quello slogan racchiude un fermo no a ogni forma di strumentalizzazione anche strisciante di quanto accaduto a Colonia che porti acqua al mulino del razzismo e distolga lo sguardo dal vero nemico: il male oscuro del sessismo. Faremmo torto alla battaglia contro questo male se cedessimo alla strumentalizzazione di quanto accaduto. Un rischio strumentalizzazione che corriamo perché figlio di un altro grande male che vuole il conflitto razziale perennemente latente e instillato nella società, un conflitto che tutto ha bisogno di abbracciare, confondere e divorare. Anche la battaglia contro il sessismo, e quindi ora anche quanto accaduto a Colonia.

No, cara Direttrice, non sono d'accordo. Il male oscuro del sessismo non ha matrice né etnica né religiosa. Può assumere quel volto, è accaduto a Colonia, ma non è un portato esclusivo di una religione o di un popolo di migranti. Non è l'Islam, né qualsiasi altra religione a fare del Sudafrica uno dei paesi con il più alto tasso di stupri o della regione del Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo, un inferno per le donne, violate quotidianamente e utilizzate come arma di guerra. Non c'entra l'Islam in quanto è accaduto ad Alina e a tante altre donne come lei, violentate nel silenzio delle campagne del nostro Sud, come a Ragusa, dove tantissime donne immigrate vivono segregate e rese schiave del sesso al servizio dei loro aguzzini italiani. Non dimentichiamo l'orrore dei Balcani, dove, a pochi passi da noi, si consumava uno dei peggiori crimini della storia europea recente: la violenza sulle donne musulmane come parte di un progetto di pulizia etnica.

La cultura sessista e misogina fondata su un modello di società patriarcale, discriminante e prevaricante ha origini ben più profonde delle religioni, ben più profonde delle provenienze geografiche. È un veleno che attraversa tutte le culture, tutte le società in tutto il mondo e da millenni assume forme diverse. Perché la donna instilla più paura di un qualsiasi esercito: suscita un terrore che sfocia proprio nella violenza di genere che è una delle più gravi e profonde forme di discriminazione, tanto quanto il razzismo. Per questo non vanno mai confuse. Non confondiamo quindi con l'intero corpo della società il male oscuro del sessismo che vi mette radici, presente in ogni società e cultura, quindi anche fra i migranti di cultura islamica o non, e ha assunto un volto terribile a Colonia. Uno dei tanti possibili. Mi spiego con un esempio relativo alla nostra emigrazione italiana nel mondo. Gli italiani hanno esportato negli Stati Uniti anche un male oscuro presente nella nostra società nazionale, la nostra mafia, ma la cultura mafiosa non è un male esclusivo del popolo italiano (ci sono tante mafie nel mondo e negli Stati Uniti), e soprattutto questo non fa dell'intero popolo italiano e dell'intero popolo di migranti italiani, dei circa sessanta milioni di discendenti di italiani nel mondo, un popolo di potenziali mafiosi che debbono essere "rieducati". Negli Stati Uniti hanno combattuto la mafia in sé, non il popolo italiano in quanto tale, e quando le due cose si sono mescolate lo abbiamo considerato ingiusto, terribile e insopportabile.

Quindi, tornando a noi, combattiamo il male oscuro del sessismo con tutti i mezzi e senza sconti, lottiamo senza tregua per estirparlo ovunque si annidi. Come recita la Convenzione di Istanbul, il problema è proprio quello della violazione dei diritti umani, che riguarda la discriminazione contro le donne in quanto tali. E' un cancro culturale che attanaglia purtroppo ogni società e che può essere combattuto, come dice la stessa Convenzione, ratificata anche dalla Germania, in primo luogo culturalmente, alle sue radici, mediante azioni di prevenzione, educazione e sensibilizzazione coordinate a una legislazione efficace.

Spesso la discriminazione di genere si nutre del concetto di mercificazione e possesso tipico del ritenere i corpi delle donne un oggetto da controllare: anche così si alimentano i meccanismi di violenza. I fatti gravissimi di Colonia, ma anche quelli di Amburgo e Dusseldorf, si riferiscono a una dinamica di gruppo specifica e particolare per cui dovremmo attendere maggiori ragguagli, ma ciò non toglie che si tratti di questo: è squadrismo criminale di matrice sessista, probabilmente organizzato, che deve essere fermamente punito, come tutte le forme di sessismo. È fuorviante considerare tali violenze esclusiva di particolari gruppi etnici di migranti, come ha giustamente riferito il ministro dell'interno tedesco, ed è altrettanto improprio e inefficace dare consigli di comportamento alle donne perché non è questo il punto su cui agire. La violenza sulle donne è un problema maschile trasversale a ogni società che spesso sfocia in violenza fisica, ma che molto più frequentemente prende le forme di uno stillicidio quotidiano che annienta psicologicamente le donne.

Cara Direttrice, l'evocazione dello scontro tra civiltà, la facile generalizzazione, che questa interpretazione nei fatti legittimerebbe, a tutte le categorie dell'immigrazione, dai rifugiati eritrei cristiani e siriani musulmani, fino a includere i minori dei centri di Tor Sapienza e i figli stessi dell'immigrazione, accomunati da tratti somatici comuni ai propri genitori, rischia di sviare il reale punto del problema. Oltre a fornire nuovi argomenti proprio a quelle forze xenofobe che fanno del conflitto razziale, non a caso insieme al machismo misogino, la ragione stessa del proprio esistere.

I molestatori di Colonia, come tutti i molestatori, non hanno una razza né una religione in comune. Sono innanzitutto maschi obnubilati dal sessismo, questa è la cosa che più profondamente li accomuna. Il nostro obiettivo è debellare quel cancro che attecchisce in ogni cultura. Il punto è applicare un approccio preventivo che parta dal combattere la discriminazione verso l'altro, che esso sia donna o migrante, dal formare la società al rispetto dell'altro, alla relazione fra pari e alla relazione positiva fra i generi.

Non esiste e non può esistere alcun "relativismo" di sinistra su questo tema. Ogni cultura contiene in sé la cura a questo male, non sarebbero altrimenti nate tante Raqia Hassan, la giornalista che denunciava al mondo l'orrore di Raqqa, roccaforte di Daesh o Zahrau, che a soli 13 anni ha sfidato Boko Haram in Nigeria, rifiutando di fare esplodere la bomba che è stata costretta a portare con sé. Raqia, come tante altre donne in tutto il mondo, ha dato la vita per estirpare questa malattia dalla società.

La sfida più grande è mantenere saldi i nostri valori, senza esitazioni. Guardare a noi stessi con la stessa severità che dobbiamo esigere dagli altri, perché quei semi malati siano estirpati dalla nostra società come in tutte le altre nel mondo. Per parafrasare le parole del nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dobbiamo essere inflessibili sul rispetto dei diritti delle persone migranti, così come inflessibili sul rispetto dei doveri e delle regole di rispetto della dignità verso ogni persona. Per tutti.

fonte: www.huffingtonpost.it

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