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Politica
Governo, Di Maio: tanti punti in comune con il Pd. Eccoli

Luigi Di Maio lancia al Pd un "appello" per la realizzazione di un programma di governo. Il leader dei Cinque Stelle lo fa dalle pagine del Corriere della Sera, in una lettera: "Lo studio del professor Della Cananea - afferma, tra l'altro, Di Maio - ha individuato i punti in comune tra il nostro programma e il loro e oggi vorrei passare in rassegna i principali e lanciare un appello: realizziamoli per il bene superiore degli italiani! Sono fiducioso perche' sulla carta la carta dei programmi ci sono tanti punti di convergenza che vanno nella direzione di soddisfare le esigenze dei cittadini, nostro unico interesse. Non ci illudiamo che i programmi elettorali abbiano sempre una valenza, ma adesso e' il momento di mettere alla prova la politica affinche' dimostri che non si tratta solo di parole, ma di obiettivi concreti che si possono tradurre in fatti, con tempi e procedure concordate. Una delle funzioni del Movimento 5 Stelle e' proprio questa. I programmi per noi valgono nel momento in cui si dimostra di volerli realizzare".

"Se c'e' una cosa che possiamo rivendicare con forza - e' la premessa di Di Maio - e' la massima coerenza tra quanto fatto dal giorno dopo il voto e quanto detto in campagna elettorale. Per tre mesi ho girato l'Italia e ho sempre ripetuto che qualora non avessimo ottenuto la maggioranza assoluta avrei proposto ai partiti un contratto vincolante sul programma. Avevo anche ribadito piu' volte che non avevamo un interlocutore preferito, ma che avremmo parlato con tutti. E' quello che stiamo facendo. Il prossimo sara' il governo dei cittadini, non dei partiti". L'appello prosegue indicando i punti - da lavoro alla lotta alla poverta' fino alla revisione del regolamento di Dublino sui migranti e al superamento del fiscal compact "garantendo la continuita' dell'Italia nell'Unione europea" - di un "contratto alla tedesca" che "servira' a mettere nero su bianco le azioni immediate per migliorare la qualita' della vita degli italiani per interpretare al massimo lo spirito della terza repubblica. Non si tratta di alleanze. Un'alleanza e' uno scambio di poltrone, un do ut des di potere. Non ci interessa. Siamo nati per fare altro. Il Movimento 5 Stelle e' la prima forza politica italiana perche' ha identita' e valori ben precisi, che difendiamo senza compromessi".

RENZI: MAI UN GOVERNO CON IL M5S

Il silenzio di Renzi sta per finire. Stasera l’ex premier e leader ombra del Pd tornerà in tv e, dal salotto di Fabio Fazio su RaiUno, confermerà la linea del «mai un governo con i 5Stelle». Perché sarebbe «una presa in giro degli elettori» e perché l’elettorato dem «non capirebbe la scelta di allearsi con chi vuole fare a pezzi le nostre riforme».

All’incontro con l’opinione pubblica, si legge sul Corriere della Sera, il senatore di Firenze e Scandicci arriva con il Pd spaccato e nell’imminenza di una direzione nazionale convocata per deliberare il sì o il no al confronto, ma che vedrà lo scontro finale sulla leadership. «Non riusciranno a farmi fuori», ripete Renzi ai collaboratori dopo aver passato giorni a verificare la tenuta delle truppe. Sia nel parlamentino che nei gruppi di Camera e Senato i numeri sono dalla sua parte e questo lo ha convinto che nemmeno Dario Franceschini e Andrea Orlando proveranno a forzare in direzione di un’accordo: «Se una manciata dei miei non votano la fiducia, il governo non parte».

Ma anche Renzi, come Luca Lotti e Lorenzo Guerini, pensa che al tavolo del confronto sia necessario sedersi. Per mostrare agli italiani che «il Pd è l’unico partito responsabile», per provare a ricostruire un ponte con il Quirinale e soprattutto perché l’ex segretario ha fretta di tornare protagonista. «Sarà lui alla fine a dire, sulla base delle differenze programmatiche, che il governo con i 5Stelle non si può fare», concordano i parlamentari a lui più vicini. E così Renzi si prepara a dire sì al dialogo, ponendo al tempo stesso le basi per far saltare tutto.

Nessuno gli toglie infatti dalla testa che dopo il voto in Friuli Venezia Giulia ci sarà un’accelerazione verso il governo Di Maio—Salvini e lui potrà schierarsi all’opposizione, prospettiva che l’ex segretario ritiene ideale per risalire la china. «E se pure si tornasse a votare — ragiona Renzi — andremmo alle urne sull’onda della dimostrazione che leghisti e grillini sono bravi nella propaganda elettorale, ma non sono in grado di dare un governo al Paese».

Nel dibattito in direzione i suoi delegati pianteranno paletti così alti, che i pentastellati non potranno aggirarli. «Davvero pensano di fare un governo con noi quelli che vogliono cancellare il jobs act e la buona scuola?», è l’interrogativo che fa infuriare Renzi. «E ve li immaginate i ministri del mio governo o i miei senatori che votano la fiducia a Luigi Di Maio?». Ecco, Di Maio. La pretesa di imporre come candidato premier il capo politico del M5S è per Renzi un ostacolo insormontabile, che rende «impossibile» l’intesa. Detto tutto questo, l’ex inquilino di Palazzo Chigi darà il suo via libera all’apertura di un confronto, anche per mettere fine a «una telenovela che spacca inutilmente il Pd».

Dietro le quinte della direzione si combatterà la battaglia per la leadership. E il candidato dei renziani, nonostante i suoi sforzi per tenere unito il partito, non sarà Maurizio Martina. Il reggente è nel mirino dei pasdaran di «Matteo» per aver portato il tema del confronto in direzione e per aver «forzato» sulla prospettiva del governo caldeggiata da Franceschini, Orlando ed Emiliano. «Se non l’avessero giocata tutta contro di me — ha confidato ai collaboratori Renzi — questa partita poteva anche finire in modo diverso».

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