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Politica
Massimo D'Alema si iscrive ai Convertiti d’Italia dopo Concita, Giannini e...

Convertiti d’Italia, anche Massimo D'Alema si iscrive

Però, chi lo avrebbe mai detto? Massimo Baffino D’Alema, leader storico degli ex comunisti, primo Primo ministro ex togliattofilo, si iscrive al nuovo grande e vecchio partito dei “Convertiti d’Italia” che già conta nomi illustri. Ce ne siamo già occupati in passato, ad esempio qui

Ma dato il grande – e prevedibile - successo che sta riscuotendo a livello nazionale e internazionale ce ne occupiamo volentieri ancora per un vero pezzo da 90. Diciamo comunque che da D’Alema ce lo si poteva aspettare, basta solo ricordare la figura di Dalemoni, crasi di D’Alema e Berlusconi, quando andava di moda tanti anni fa il cosiddetto “inciucio” bicamerale perle riforma della Costituzione, peraltro fallito. Dunque dicevamo che baffino ad Agorà (Rai3) ha fatto outing, per carità non nel senso zanianano del termine che ai comunisti di un tempo piace – in genere - sempre il prodotto tipico come natura comanda, ma nel senso che ha espresso tutta la sua riverita e reverente ammirazione per Giorgia Meloni.

"Giorgia Meloni è una donna capace, robusta politicamente, rappresenta molto più di altri quel mondo della politica che è stato così disprezzato e si è preso una rivincita. Meloni era la segretaria del movimento giovanile del suo partito. È una donna che ha fatto politica e che ha fatto della politica una scelta di vita, io queste cose le apprezzo. Il paradosso è che dopo tanto nuovismo noi ci ritroviamo al governo il partito più novecentesco che c’è".

"Certo la tradizione del Novecento rappresentata da Fratelli d’Italia a me non piace, è l’altra rispetto alla nostra, però…".

Imbarazzo in sala. Le telecamere si soffermano impietose sui solchi che il tempo ha scavato nell’ex giovane comunista rivoluzionario che contestava i carri armati sovietici a Praga, facendo arrabbiare Giorgio Napolitano, allora responsabile filosovietico Esteri del PCI. Del passato restano solo gli occhi arretrati e vigili, i baffi, vecchio omaggio ai barbudos cubani, un sistema di areazione nasale imprevedibile fatto di improvvisi sbuffi e sbuffetti e di tic nervosi abbastanza celati da una spavalderia di altri tempi. Alla fine sembra che avesse quindi ragione Arianna, la sorella di Giorgia, che in un post profetico su Facebook scriveva: “Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci”, citazione di Ghandi.

Se pure un avversario storico come Massimo D’Alema dà ragione a te che sei sempre stata dall’altra parte della barricata vuol dire che ce l’hai fatta veramente.

Del resto non è che in passato fossero mancati riconoscimenti reciproci come quelli tra Giorgio Almirante e – ad esempio - Enrico Berlinguer, ma quelli sembravano fare un po’ parte di una certa coreografia istituzionale ed anche la Pravda (non quella di Belpietro) – una volta - parlò bene di Pino Rauti, forse influenzata dalla sua teoria dello “sfondamento a sinistra”.

C’è un fine in questa “conversione” oppure no? Conoscendo D’Alema siamo per la prima ipotesi. Il leader Massimo staziona ancora in Articolo 1 insieme al neoscomparso ministro Roberto Speranza che era sua propaggine. Staziona, ma guarda. Guarda con interesse al Partito democratico e alle sue convulsioni. Lo guarda da sinistra, come Matteo Renzi, altro premier di quella tradizione, lo guarda da destra. Ma entrambi lo guardano ed entrambi parlano bene di Giorgia Meloni.

Infatti anche Renzi nel discorso inaugurale del premier strizzò l’occhio sopraffino a Giorgia. Sarà solo un ricollocamento tattico di quelli a cui siamo abituati oppure ci sarà qualcosa di strategico? Forse la guerra, la pandemia, la crisi energetica, l’inflazione hanno fatto ragionare i due leader su un possibile “Nazarenone”, ma se così fosse hanno fatto male i conti e non conoscono bene la pervicacia della prima donna Presidente del Consiglio.

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