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Pontida, un successo per la Lega nonostante l’oscuramento mediatico
Matteo Salvini Marie Le Pen

Pontida, un successo per la Lega nonostante l’oscuramento mediatico

Il pratone storico di Pontida, dove i comuni lombardi formarono la Lega che sconfisse l’imperatore Federico barbarossa, ha registrato un grande successo, segno che dopo il Covid c’è voglia di ripresa, di politica attiva, di sudore. Questa edizione ha visto un fatto indubbiamente nuovo e determinante: il “patto” tra Marine Le Pen e Matteo Salvini. Un patto che non è solo ideologico ma è anche e soprattutto politico e ha come obiettivo le Europee del 2024.

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Salvini nel suo discorso ha ricordato in maniera suggestiva Roberto Maroni, “l’anima della Lega è su questo prato…un grande leghista”, poi Silvio Berlusconi, “un amico” ed infine anche il fondatore di tutto: “l'unico e irripetibile Umberto Bossi, se non avesse cominciato lui, non saremmo qua”. Salvini non è caduto nel gioco di chi voleva fargli attaccare Giorgia Meloni, “Lei è a Messina io qui. Non c’è alcuno scontro” e poi ancora: “Il governo durerà 10 anni”.

E poi, come dicevamo c’è stato il patto con la Le Pen. Non si è trattato di espediente puramente tattico ma di un accordo chiaro, netto e strategico. Il patto con Le Pen significa tornare alle origini a rioccupare quello spazio politico che la Meloni ha lasciato libero spostandosi al centro per potere governare. Il centrodestra è una macchina complessa ma anche mirabilmente funzionante per quanto riguarda i suoi ingranaggi, i suoi meccanismi interni.

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E se la Meloni copre l’area istituzionale atlantica, potremmo dire governativa, Salvini copre quella di lotta sugli ideali fondanti che l’elettorato non ha mai dimenticato. I giornaloni sono inquieti in queste ore e se Luciano Fontana non sa capacitarsi che ci sia nel governo una componente appunto governativa e una di “lotta”, il solito Travaglio sguinzaglia i cronisti in cerca di scontrini alla festa verde, segno che l’analisi politica ha lasciato il campo alla banalità demagogica, come spesso accade a chi ha fatto del populismo un’arte, cioè quella di sopravvivere a sé stessi.

C’è stato, con i governatori del Veneto Luca Zaia e quello della Lombardia Attilio Fontana, il tema dell’autonomia differenziata, che è il prezzo pregiato del meccanismo di connessione tra l’idea statalista di Fratelli d’Italia e quella autonomista della Lega. Più che “differenziato” lo potremmo chiamare “ben temperato”. C’è stata con Giulia Bongiorno, presidente della commissione Giustizia del Senato, il tema della castrazione chimica.

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Il capogruppo dei Parlamentari, Riccardo Molinari, ha ribadito la compattezza del governo ed è stato critico con l’Europa e ha detto che la guerra in Ucraina “deve finire al più presto, nessuno può vincere sul campo, ormai lo hanno capito tutti". Questo è un punto molto importante che differenzia la Lega da Fratelli d’Italia e cioè la guerra che, come noto, non è affatto vista come una priorità dall’elettorato del centro – destra, in cui Putin gode ancora di ottima popolarità.

In tutto questo c’è da notare poi una sorte di “oscuramento mediatico” a cui è stata sottoposta Pontida a livello sia di stampa che di televisione. Non sfugge che la mossa di far venire Ursula von der Leyen a Lampedusa ha oscurato l’evento leghista. E poi c’è un problema, questo più generale e meno contingente, della visibilità mediatica della Lega. Alessandro Sallusti a Il Giornale e Paolo Del Debbio (Rete 4) hanno aperto alla Meloni e gli Angelucci, pur dando uno spazio di tribuna anche alla Lega, supportano il capo dell’Esecutivo.

In questo momento Fratelli d’Italia può contare sia sulla Rai che sugli Angelucci, mentre Mediaset deve avere necessariamente un buon rapporto con la Meloni, ora che non c’è più il Cavaliere e incombono problematiche come la tassa sugli extraprofitti e la banca Mediolanum, in cui i Berlusconi hanno ancora interessi rilevanti.

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