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Pisicchio: 'La bellezza conviene'. Il manifesto per la LR sulla bellezza

“Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore (Peppino Impastato)“.

PISICCHIO 2

Con la lettura di un brano del giornalista Peppino Impastato è stato inaugurato a Bari nella sede della Città Metropolitana, “Il tour della Bellezza”, la prima delle dieci tappe pugliesi per dotare la Regione Puglia, attraverso la partecipazione e il coinvolgimento dei territori, della prima legge in materia sui criteri della qualità della vita e del benessere della persona attraverso le forme di tutela e di valorizzazione dell’esistente.

“Una legge che non prevede consumo di suolo, una legge che non parla di superfici e di volumetrie, ma una legge che parte dal basso per rimettere al centro i bisogni dell’uomo e del suo vivere” ha spiegato l’assessore alla Pianificazione Territoriale Alfonso Pisicchio aprendo i lavori che continueranno con i tre tavoli tematici coordinati da esperti del mondo giuridico, accademico e degli ordini professionali.

Invito Giornate della Bellezza, 18 gennaio@ Palazzo Città Metropolitana di Bari

Le linee guida della proposta di legge - composta da sette titoli, ventitré articoli, un preambolo con le parole del giornalista Peppino Impastato e un Manifesto che condensa i valori, spiegando i cardini della riforma – sono state elaborate nei mesi scorsi da un apposito comitato tecnico-scientifico.

“Per iniziare questo percorso – ha spiegato l’assessore Pisicchio - avevamo due strade: portare direttamente il testo nelle stanze del Consiglio regionale oppure iniziare una discussione sul territorio. Abbiamo scelto la strada più complessa ma più entusiasmante perché in questo tour saranno le comunità, le associazioni, il vasto mondo degli stakeholders a dirci come raggiungere la bellezza eliminando tutti i detrattori, tutti i non luoghi che non contribuiscono di certo alla crescita dei territori. In questa legge ci sono le periferie, c’è l’arte, c’è la rigenerazione urbana, c’è l’ambiente e tutti gli strumenti urbanistici che, applicati correttamente, possono permetterci di alzare l’asticella della qualità della vita in ogni singola comunità”.

Pisicchio Alf

Apprezzamento alla proposta di legge è stato espresso anche dal sindaco metropolitano Antonio Decaro: “Una legge che ci convince e ringrazio la Regione Puglia per aver immaginato questo percorso collettivo. Anche come Città Metropolitana stiamo portando avanti un percorso di abbellimento dei 41 Comuni prevedendo opere d’arte a cielo aperto nei piani di riqualificazione”.

Il tour proseguirà nelle prossime settimane con le seguenti tappe: Ruvo di Puglia (Murgia), Lecce, Foggia, San Giovanni Rotondo (Gargano), Brindisi, Taranto, la sesta provincia di Barletta, Andria, Trani, Martina Franca (Valle d’Itria) e la riviera jonico-salentina nell’ambito del Mosaico identitario pugliese previsto all’interno della legge.

LA BELLEZZA CONVIENE

MANIFESTO PER LA LEGGE REGIONALE SULLA BELLEZZA

1 - Il miracolo pugliese e italiano

Un grande storico dell’arte, Ernst Gombrich, sosteneva che “i Greci erano belli perché avevano piazze e città belle”. Una provocazione ma non troppo, mirata a sostenere che i popoli, le comunità, gli individui, non solo si limitano ad adattarsi all’ambiente, ma che l’ambiente a sua volta li costituisce nell’identità, ne forma addirittura la fisionomia, in base a quei valori su cui l’umano ha scelto di costruirlo e di valorizzarlo

Belli più degli altri dovrebbero dunque essere gli italiani dato che il valore della bellezza ha intriso di sé le convalli e gli uliveti, le chiese e i castelli, i piccoli borghi e le grandi città. C’è in Italia, sosteneva Goethe nel suo straordinario diario turistico (Viaggio in Italia), una specie di miracolo diffuso, la capacità di aggiungere alla “bellezza della prima natura”, la bellezza di un’arte e di un  paesaggio divenuto una vera “seconda natura”: un miracolo grazie al quale l’Italia,  per tutto l’Ottocento, fu  meta ambita del “Gran Tour”, momento privilegiato di una esperienza di formazione che coinvolgeva la “meglio gioventù” intellettuale europea.

Bellissimi dovrebbero essere perciò anche i pugliesi, fortunati nell’abitare una regione fra le più dotate di splendore e attrattiva. Adagiata fra due mari fino all’estrema punta dove il Faro di Palascia richiama a tutto l’Occidente il sorgere e il tramonto, rude e dolce nel dipanarsi dell’acqua carsica che disegna la pietra in un intarsio di lame e gravine, di grotte e di doline, la Puglia è regione agricola e popolare di masserie, di ulivi e di un’architettura fatta dal vento, ma insieme è regione colta, confine di romanico e barocco, di arte classica e antica che fa viaggiare subito la mente verso l’Oriente e la Grecia.

Eppure, come disse il poeta, “vedo le mura e gli archi, ma la gloria non vedo”. L’Italia bellissima e la Puglia bellissima, invece di diventare per tutti i viaggiatori quella “città invisibile” di cui parlava Calvino (città dell’anima, del sogno, del desiderio e della formazione), si sono riempite di veri e propri detrattori di bellezza, monumenti alla bruttezza, alla volgarità, alla mancanza di equilibrio e di grazia. Un danno che mette a rischio sia l’identità dei suoi abitanti, sia il senso di appartenenza e di memoria, sia la stessa ricchezza, dato che, come ormai è acclarato da tutti gli estensori del PIL, “la bellezza conviene”, conviene cioè alle quantità migliorare e alzare la qualità.

Così, per restituire alla Puglia e ai pugliesi la loro bellezza, questo Assessorato alla Rigenerazione Urbana e al Territorio, avendo nella sua missione la qualità, propone di introdurre nel Regolamento generale della Regione il compito di costruire bellezza. Propone altresì una vera e propria Legge della Bellezza che conservi, tuteli e valorizzi la bellezza del suo territorio, il benessere della persona e la felicità delle comunità locali. Si tratta di una legge  unica in Italia, almeno dal dopoguerra, e dunque possibile modello per le altre esperienze regionali di una pianificazione in cui la Natura, la Città, la Persona Umana ritornino ad un “bel” colloquiare

2 - Per una storia legislativa della bellezza

In realtà c’è già stata in Italia una legge sulla bellezza, proposta dal grande filosofo Benedetto Croce quando era Ministro dell’Istruzione nell’ultimo Governo Giolitti (Legge n.778, 11 maggio 1922). Ispirata alla legislazione degli antichi Stati italiani, in particolare ai Rescritti Borbonici del 1841, 1842 e 1843,  la Legge si rifaceva ad un modello di bellezza così colto e alto, così “connesso con la storia civile e letteraria e pittorica”,  che finiva con il tutelare solo, le “bellezze naturali panoramiche» e i “paesaggi di grande interesse”, cioè i paesaggi e le città che assomigliavano ad una cartolina o ad un quadro. Una idea aristocratica ribadita anche dalla Legge di tutela del ’39 (detta “Legge Bottai”), la quale era nata per proteggere solo “quelle bellezze naturali considerate come quadri» (Preambolo).

Questa bellezza aveva a che fare con il fascino pur importante del passato e delle “rovine” ma non  con le genti vive e con la loro capacità di costruire, con l’ingegno e il lavoro, altra bellezza.  Perciò,  per superare questa idea della bellezza come “ornamento”,  i Costituenti , durante la discussione di quello che fu poi l’art. 9 della Costituzione, misero in campo una idea di bellezza fondata sul lavoro umano e  su una cosiddetta arte “minore”, tramandata per generazione da maestri artigiani, maestri che lavoravano insieme con il cervello e con le mani. Essi avevano forgiato, sempre sulla lunga durata, una bellezza diffusa che, come disse Concetto Marchesi,  era il segno stesso della identità, della memoria e della coesione nazionale[1].

Era cioè il fondamento di una patria comune fondata non sulle imprese militari, ma sul patrimonio artistico e memoriale e naturale lasciato dal lavoro dei Padri: un patrimonio nazional-popolare, emblema di fattori civili e culturali e identitari non solo aristocratici, valori che ridavano voce e riscatto all’intero popolo, anche al popolo contadino meridionale da sempre così vessato (ripreso nell’art. 2 della nostra Legge).

Prendendolo in cura, l’intera Repubblica si impegnava in un allargamento veramente radicale dell’idea di bellezza che includeva non solo l’ambiente geo-fisico ma anche l’ambiente antropico, i manufatti dell’uomo, il paesaggio agrario, la cultura materiale delle comunità locali, i valori espressi da mondi aggrediti dalla metropoli e dalla modernizzazione legati ai saperi artigiani e alla civiltà contadina, con una nuova sensibilità per i segni naturali della terra, le sue risorse vitali, le specificità agro-alimentari, le conoscenze tradizionali, il tessuto architettonico rurale.  Il paesaggio agrario è infatti un vero e proprio paesaggio culturale,  come poi specificherà l’UNESCO. Esso, per quanto gravato di dolore e di silenzio umano, racconta bellezza, è infatti un deposito di storie, pieno di fiabe e di canti, di riti pagani e di feste agrarie, che, tramite la voce viva di cantastorie  popolari, ricoprono di simboli ogni albero, ogni zolla, ogni sorgente, perfino la montagna e la stella.

Nasce da qui, dalla cultura contadina, l’idea ecologica di bellezza introdotta nella legislazione europea e italiana dopo gli anni ’70. Essa si estende anche alla “rete ecologica”, alla natura “vuota” (la wilderness), alle zone umide o desertiche, ai corridoi ecologici,  alle piste per le migrazioni animali, alle enclaves delle specie, per veicolare  una idea di bellezza non come miraggio narcisistico, ma  come atto in cui la persona umana sconfina da se stessa per trovare equilibrio, amicizia, comunanza ontologica di tutti gli esseri viventi.

3 - I detrattori di bellezza

La globalizzazione non ama la bellezza. Essa è di fatto una globale uniformizzazione che omologa il mondo al modello abitativo consumatore. Il suo connotato è la semplificazione, quell’assenza di mediazione culturale che è sintomo di una «barbarie inespressiva» che «ignora le orme dei passi e delle ruote, i dolci tratturi lungo i margini, i sentieri che scendono ai lati nella valle, quel che di morbido, mite, smussato delle cose su cui hanno agito le mani o i loro strumenti immediati»[2]. distrugge la bellezza delle campagne, soffocate ormai da un reticolo di imprese, capannoni industriali, impianti energetici, centri commerciali, tracciati dell’alta velocità, linee elettriche, svincoli di autostrade, aree di rifornimento, parcheggi, terreni vaghi simili a discariche. Ma ancora di più aggredisce la bellezza delle città, in cui la proliferazione delle metastasi ha ormai sostituito, per dirla con Augè, ai “luoghi”, i “non luoghi”, spazi senza identità, senza relazioni e senza senso, posti uniformi, giganti dal look interscambiabile, in cui transita e consuma, tra la folla dedita all’effimero, una individualità sempre più disperata e solitaria[3].

Sono spazi seriali di cui fanno le spese soprattutto i “luoghi comuni” disinteressati e solidali: le terre per gli usi civici, le aree per le giostre e le fiere, i mercatini di strada, le zone di margine, gli argini dei fiumi, i camminamenti selvatici, le fontane pubbliche per lavarsi, i posti per dormire all’aria aperta e per essere accolti, le strade per giocare, per passeggiare a piedi e  senza obiettivi di consumo specializzati, le piazze per riunirsi e parlare senza organizzazioni autorizzate, le tracce di antiche civiltà, sempre più utilizzate per diventare “risorse” e “opportunità” per il grande business del turismo e del divertimento di massa.   Penalizzato è soprattutto il “vuoto” urbano. Lo spiega assai bene Venera Maria Ardita che ammonisce sul fatto che in questi spazi di latenza, si può accanirsi la speculazione, o il gesto narcisistico delle archistar o anche la soluzione facile del degrado e della bruttezza.

Ciò avviene dovunque nel centro e nelle periferie dove, fra l’altro, una nuova architettura “ostile” mette le mani sulla bellezza delle città cospargendola di dissuasori, puntoni per impedire di sedersi o braccioli sulle panchine per impedire di sdraiarsi: tutti  arredi “belli”, decorativi, vocati in realtà a disciplinare l’accesso agli spazi pubblici di tutte le persone che si trovano in una situazione fragile. Contro di essa dovrebbe fare una proposta forte la nuova legge regionale sulla bellezza, che, declinata con la solidarietà, possa trasformare questi “scarti urbani” in modelli di inclusione e di ospitalità ecologica, cooperativa, interculturale, contemplativa (con orti urbani e interculturali, giardini delle arti,  aule didattiche all’aria aperta, spazi comuni della socialità , della festa e del gioco, usi civici, ecc.).

4 - La legge regionale sulla bellezza

Ed è proprio qui che nasce la sfida della Legge Regionale Pugliese  e la sua volontà di concretizzarsi in un percorso attivo.  Per dargli impronta,  all’interno della struttura dell’Assessorato, è stato istituito un tavolo tecnico scientifico con Personalità di varia provenienza, dal settore accademico a quello delle professioni, con diverso profilo (giuristi, ingegneri, architetti, antropologi, economisti, storici dell’arte e del territorio), che ha elaborato le Linee Guida (principi, finalità, azioni) per tale Disegno di Legge e che monitorerà l’andamento complessivo dell’applicazione della stessa Legge.

Nelle Linee Guida il  concetto di “bellezza” si dipana all’interno di una serie di precedenti atti legislativi che vanno dalla prima Legge nazionale del 1922 fino alle più recenti Convenzioni Europee. E’ infatti soprattutto l’Europa che offre alla legge locale un supporto globale, a partire da quel Documento straordinario che è la Convenzione Europea del paesaggio (2006), nato dall’esigenza di “salvaguardare la cultura e l’identità europea dai processi di sradicamento della globalizzazione”, e poggiato sull’idea sistemica che, mettendo al centro i due concetti di “percezione sociale del paesaggio” e di “ambiente di vita”,  riesce a legare i paesaggi naturali e i paesaggi culturali, correlandoli alla comunità sociale. Qui la bellezza si fa  «la componente essenziale del quadro di vita delle popolazioni locali, espressione della diversità del loro patrimonio culturale e naturale, e fondamento della loro identità».

Ed è questo il fulcro della legge regionale: la  “bellezza” riguarda , oltre la conservazione e valorizzazione della bellezza naturale, paesaggistica, architettonica così come già tutelata dalle leggi vigenti, anche la tutela della bellezza come valorizzazione delle Identità dei Territori vasti del mosaico pugliese: Identità che si estraggono dalla ricerca memoriale delle storie degli abitanti di quel luogo in un tempo profondo, testimoniate dai materiali,  dagli oggetti, dalle conoscenze tradizionali che  hanno animato e costellato la vita degli individui e delle comunità.

5 - I Processi partecipativi

Questa nuova idea di bellezza pone un inedito tema di governance e di esercizio democratico, in quanto affida direttamente ai territori la responsabilità e l’esercizio della tutela, e, soprattutto, ridisegna giuridicamente la categoria di “comunità” che viene infatti indicata come una “comunità di paesaggio”, in cui cosa è il “bello” viene deciso entro processi partecipativi, nella negoziazione con le comunità, nella vitalità della tradizione e della innovazione. Dovranno cioè essere le popolazioni a custodire e, eventualmente, a decidere di valorizzare, la bellezza naturale, artistica, memoriale. Cosa che implica nuovi modelli di gestione  e in cui anche il cambiamento deve contenere elementi di riconoscimento, nel quale l’individuo si percepisca sempre come parte in gioco.

L’obiettivo ultimo sarà quindi quello di individuare le Identità dei territori, per tratteggiarne i caratteri delle singole “temperie culturali” che si sono condensate sulla lunga durata, attraverso l’azione dell’uomo e la sua capacità di trasformare i “paesaggi naturali” in “paesaggi culturali” legandoli all’equilibrio delle risorse naturali, al benessere, alla salute psichica e simbolica , insomma alla “bellezza” della propria vita e della vita delle collettività. Il parametro dell’”identità culturale” delle popolazioni richiede, per essere postulato, una ampia discussione e negoziazione, nonché un lavoro di ricostruzione simbolica e di scavo antropologico e di psicologia collettiva.

Perciò l’Assessorato, in collaborazione con tutti gli Enti di ricerca del territorio, come le Scuole e le Università, intende avviare le azioni utili a sviluppare la ricostruzione e valorizzazione delle Identità dei Territori vasti del mosaico regionale che è finalità prima del Disegno di Legge. Dato che, come detto in Premessa, le Identità si estraggono dalla ricerca memoriale delle storie degli abitanti di quel luogo in un tempo profondo, testimoniate dai materiali,  dagli oggetti, dalle conoscenze tradizionali che  hanno animato e costellato la vita degli individui e delle comunità, bisognerà ricostruire, motivare, consolidare scientificamente il concetto di “bellezza”, di “mosaico territoriale”, di “identità culturale”, di “detrattore culturale”, di “felicità della persona e delle popolazioni locali”  le azioni  dovranno anche coinvolgere i portatori popolari nonché con i narratori di memoria e di creatività.

6 - La Qualità delle architetture e del paesaggio

Se i paragrafi precedenti, sul tema delle identità dei Territori Pugliesi,  contemplano l’aspetto maggiormente innovativo del Disegno di Legge, questo paragrafo sulla Qualità delle trasformazioni territoriali in ambito urbano, periurbano ed extraurbano, afferisce al campo disciplinare dell’Urbanistica e delle Architetture. E’ questo un terreno dove bisognerà praticare scelte di grande valore politico e culturale, tese a sovvertire una sorta di via dirigistica allo sviluppo urbanistico fin’ora praticata a favore di un’altra via: semplicità e praticabilità nei processi amministrativi.

La Regione costituzionalmente è Ente di Legislazione e Programmazione e dunque deve riprendersi la responsabilità delle scelte in merito ai processi espansivi delle Città’: insomma alla Regione la responsabilità delle decisioni sul “Consumo di Suolo”, ai Comuni le decisioni sulla Qualità costruttiva dei Luoghi urbani e periurbani, così come questi normalmente si caratterizzano come sequenza di Pieni e di Vuoti. Le scelte espansionistiche dei territori urbani devono poter essere consentite solo a fronte di ipotesi di concentrazione abitativa conseguente a previsioni di sviluppo demografico e produttivo reali, dimostrabili, certe e non diventare terreno di scambio tra gruppi di pressione locale e rendita fondiaria.

Ne consegue la necessità di porre mano a un riordino degli strumenti della pianificazione, dove il livello strategico è regionale mentre quello attuativo comunale: insomma una sorta di riconsiderazione del vecchio “Programma di Fabbricazione” come “Piano del Sindaco” in cui vengono dettagliati gli interventi puntuali e le regole per la qualità delle Architetture.

La Legge disciplina a riguardo una sorta di Decalogo di buone pratiche che,ispirandosi alle rigorose argomentazioni di Kevin Lynch, determinano una “Carta della Qualità delle Architetture e del Paesaggio” che ciascun Comune dovrà adottare all’interno del proprio regolamento edilizio assieme alle “Commissioni per la qualità delle Architetture e del Paesaggio”, a cui verrà affidato il vaglio della rispondenza dei Progetti ai criteri prestazionali della Qualità Urbana.

In via preliminare, perché un luogo urbano possa essere considerato confortevole e come tale favorire le relazioni tra gli Individui, possono essere così declinati:

  • vitalità intesa come capacità di configurare i luoghi urbani a misura d’uomo.
  • significato che va rapportato alla chiarezza delle singole parti di un luogo urbano e di come si relazionano tra esse.
  • coerenza che realizza il grado di rispondenza tra l’organizzazione insediativa e i comportamenti abituali degli Individui.
  • accessibilità intesa in senso fisico e rappresenta la facilità di raggiungimento e attraversamento dei luoghi, sia veicolare che pedonale.

Ed è da questi presupposti che si giunge al tema della bellezza degli spazi insediativi, ovvero della Progettazione del Paesaggio urbano e delle Architetture, e qui i criteri disciplinari potranno così essere declinati:

  • strutturazione che mira a strutturare gli elementi dello spazio che si progetta.
  • spazialità come gli elementi strutturali dello spazio insediativo si compongono tra loro, definendo il modello spaziale della progettazione.
  • variazione che definisce gli aspetti della variabilità delle componenti strutturali all’interno del modello spaziale del progetto.
  • correlazione che mira a far discendere l’individuazione degli elementi strutturanti dallo spazio che si sta progettando.
  • narrazione che mira a mettere in relazione i requisiti precedenti attraverso trame narrative.

Insomma la Città deve tornare a essere un motore dell’immaginario, capace di essere ospitale, di generare narrazioni, di mettere in moto emozioni e sorprese, di educare alla vita e alla Bellezza Civile.

Queste considerazioni si estendono ovviamente allo spazio extraurbano ovvero al paesaggio rurale: qui  la Legge affronta il tema di come rendere dialoganti i 4 sistemi normativi operanti in ambito rurale: urbanistico, paesaggistico, ambientale e idrogeologico. Questo soprattutto nelle aree SIC-ZPS, dove la salvaguardia della biodiversità deve necessariamente tener conto delle norme di conservazione e gestione di queste aree. È questo anche il tema di una migliore precisazione delle norme del PPTR per meglio favorire l’evoluzione del “Paesaggio Naturale verso il Paesaggio Culturale” attraverso un’Agricoltura sostenibile dove l’azione antropica renda possibile questa evoluzione.

7 - La rigenerazione del nuovo e le periferie

L’ultimo capitolo della legge affronta il problema della disciplina amministrativa dei “Detrattori di Paesaggio”, antichi e più recenti e purtroppo non sempre abusivi. L’intero impianto della Legge ragiona per “Sottrazione e non Addizione” ed è questo il criterio che si è adottato nell’operazione di “Rammendo delle Periferie”.

È opportuno richiamare a riguardo che questa è materia dove si esercita prevalentemente la competenza dello Stato e non delle Regioni. Ciò porta a privilegiare lo strumento negoziale, ovvero il ricorso a un regime convenzionato tra Pubblico e Privato. Insomma oggi spesso il Pubblico si trova ad affrontare il tema della “Bruttezza del Nuovo” soprattutto nelle Periferie dove la loro rigenerazione si realizza attraverso il Rammendo edilizio e urbano, facendo ampiamente ricorso al tema dell’Arte Urbana affinché questa, con il suo linguaggio, rafforzi il tema di una Bellezza come prassi abituale e quotidiana degli Individui.

[1] L. Bonesio. Paesaggio, identità e comunità tra locale e globale, Diabasi, Reggio Emilia 2007

[2] T. W. Adorno, Paysage, in  Minima moralia, Einaudi 1954, p. 39.

[3] M. Augè, Non luoghi. Introduzione ad una antropologia della surmodernità, Eleuthera, Milano 1996.

(gelormini@affaritaliani.it)

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Pubblicato sul tema in precedenza: 'Le Giornate della Bellezza', Pisicchio: 'Un processo partecipato'

                                                              

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