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Decreto crescita: la Lega calcio protesta, ma cresceranno i vivai italiani
Matteo Salvini - Olivier Giroud (foto Lapresse)

Decreto Crescita non prorogato, la battaglia di Salvini. Nel “milleproroghe” non entra lo sconto per i calciatori stranieri

Il “decreto crescita” non è stato prorogato ieri nel Consiglio dei ministri. Si tratta di un regime fiscale agevolato per i lavoratori sportivi esteri. In pratica è un corridoio privilegiato per fare giungere in Italia, a condizioni fiscali particolari, sportivi esteri, soprattutto calciatori ed allenatori.

La notizia è stata data da Antonio Tajani al termine del Cdm: “Non è stata fatta una deroga. Se ne è parlato ma poi si è deciso di non fare nulla”

L’iniziativa è stata del leader della Lega Matteo Salvini che avrebbe detto di trattarsi di un “provvedimento immorale” e di essere disposto a non partecipare al voto in Consiglio per non “mettere in imbarazzo” il governo.

Per evitare ulteriori tensioni Tajani ha preferito soprassedere. Luca Toccalini, deputato leghista ha spiegato: “Gli sconti ai calciatori stranieri che guadagnano milioni sono immorali, i club ora investano su giovani italiani e non su stranieri strapagati che peraltro sono spesso scarsi". Un oppositore d’eccezione è il presidente della Lazio Claudio Lotito, senatore di Forza Italia, che ha dichiarato: "Salta la proroga per il decreto crescita? Bella e grande fesseria che è stata fatta, vedranno che cavolo di errore è stato fatto, non va bene così anche perché lo Stato non incassa i soldi, se tu hai uno straniero che paga le tasse in Italia sarà meglio di uno che non viene e non le paga no?”.

Decreto Crescita, Lega calcio protesta. Ma sarà una misura che farà crescere i vivai

Mentre la Lega di serie A è costernata e nella più cupa disperazione: “Prendiamo atto con stupore e preoccupazione delle indiscrezioni di stampa. Se tale decisione, sarà confermata avrà quale unico risultato un esito diametralmente opposto a quello perseguito. La mancata proroga, come anche illustrato in maniera puntuale e dettagliata in una nota inviata al Governo nei giorni scorsi, produrrà infatti minore competitività delle squadre, con conseguente riduzione dei ricavi, minori risorse da destinare ai vivai, minore indotto e dunque anche minor gettito per l’erario. Dal momento che la proposta di proroga aveva ottenuto il via libera tecnico per essere presentata in Consiglio dei Ministri, il fatto che alla fine sarebbe stata esclusa lascia supporre che sia prevalsa per l’ennesima volta una visione del calcio professionistico distorta e viziata da luoghi comuni fallaci”.

Il ragionamento che si fa è che così i campioni stranieri verranno più difficilmente in Italia a prendere a calci la pelota: ad esempio Guirassy piace al Milan, ma ora costa troppo, stessa cosa per Hojbjerg alla Juve. Ma quello che la Lega e Lotito non dicono è che così non solo si toglie un odiato privilegio ai calciatori stranieri ma si rafforza il prodotto autoctono, ed in ispecie i vivai e le giovanili delle squadre, nonché la Nazionale che poi deve competere senza gli stranieri che gonfiano gli organici e spesso sono anche degli emeriti brocchi che non ripagano gli sgravi fiscali.

Questo discorso fu affrontato già negli anni dell’immediato secondo dopoguerra, dopo il blocco dei calciatori stranieri voluto dall’autarchia fascista e la conseguente riapertura alla fine del conflitto. Tuttavia nel 1953 ci fu il “veto Andreotti”, allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, che bloccò nuovamente l’immigrazione pallonara a seguito di deludenti prestazioni della nazionale italiana. Dopo altre limitazione e successive riaperture, nel 1965 venne reintrodotto un altro blocco che portò il numero dei giocatori stranieri, allora di 40, a solo 1 alla fine del 1979.

Nel 1980 – 81, a seguito anche di iniziative legali, tornarono gli stranieri e la Roma, ad esempio, si prese Falcao che la portò allo scudetto del 1982-83.

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