di Luca De Franco

Nato a Cagliari, il 10 marzo 1975, alto 172 cm, pesante 86 kg (fra i professionisti sarebbe un peso massimo leggero), Don Massimiliano Pusceddu è un sacerdote che ha destato scalpore sostenendo due incontri dilettantistici di pugilato contro Francesco Sarritzu (che non è parente del campione europeo dei pesi mosca Andrea Sarritzu). Il bilancio di Don Pusceddu è di una vittoria e una sconfitta, ma per lui è più importante aiutare i giovani attraverso la boxe. Di questo e di altro, Don Pusceddu ha voluto parlare in esclusiva con Affari.

Don Pusceddu, quando si è avvicinato alla boxe?
“A 12 anni, con i maestri Roberto Spiga e Dino Aramu. Mi sono allenato con loro  per cinque anni, poi sono entrato in seminario. A 24 anni, sono tornato in palestra. Quindi, ho 13 anni di attività pugilistica alle spalle. I due match che ho sostenuto, sono solo il coronamento di questa attività.”

Chi erano i suoi idoli?
“Il mio idolo assoluto è Muhammad Ali perchè aveva uno modo unico di fare la boxe. Da quando è stato colpito dal morbo di Parkinson, ha continuato a girare il mondo per fare del bene. Ha combattuto contro la malattia come combatteva contro gli avversari. Per questa sua straordinaria volontà, deve essere un esempio. Fra i pugili italiani, mi piaceva Francesco Damiani. Quando salgo sul ring, cerco di imitarne lo stile.”

Cosa risponde a chi la critica?
“Come diceva San Paolo, i cristiani sono combattenti. Ogni giorno, affrontano i demoni, le tentazioni e le prove della vita. Quindi, nessuno si deve meravigliare se io combatto sul ring del pugilato. Per me, è un modo come un altro per evangelizzare i giovani. Non si può attendere che i ragazzi entrino in chiesa, bisogna andarli a cercare nei loro luoghi di ritrovo. Io ho sempre frequentato le palestre e mi è sembrato naturale continuare a farlo. Vado a trovare i giovani in palestra, li avvio alla nobile arte e li avvicino alla parola di Dio. Sono convinto, che la presenza di un sacerdote nello sport sia fondamentale. E’ necessario insegnare dei valori agli agonisti,  soprattutto a quelli che fanno la boxe.”

Don Massimiliano Pusceddu

Perché soprattutto ai pugili?
“Il pugilato è lo sport a cui si avvicinano molti ragazzi che hanno dei gravi problemi con la loro famiglia, con la giustizia, con il mondo in generale. Il motivo è comprensibile: per imparare a fare a pugni sono necessarie solo la volontà, la capacità di soffrire e la perseveranza. Il modo giusto di tirare le combinazioni, di allenarsi, la strategia da seguire sul ring, si imparano. In altri sport, ci vuole un talento enorme. La boxe ed i valori cristiani possono dare uno scopo ai ragazzi che ne sono privi. Inoltre, la boxe ha dei valori propri che non troviamo in altri sport più popolari.”

Ce li illustri.
“Il rispetto dell’avversario, del regolamento, dell’arbitro. I pugili si picchiano a potenza piena, ma non si odiano. Anzi, hanno un profondo rispetto per l’avversario perchè sanno che anche lui ha dovuto fare sacrifici, allenarsi tutti i giorni, soffrire prima di salire sul ring. Alla fine dell’incontro, ci si abbraccia sempre. Inoltre, la boxe insegna che nulla si ottiene dalla sera alla mattina, che bisogna lavorare sodo senza mollare mai.”

I detrattori della boxe dicono che i pugni fanno male...
“Questi signori non sanno che i pugili non sentono dolore quando vengono colpiti perchè – prima del debutto amatoriale o professionistico – hanno già incassato migliaia di ganci, diretti e montanti in palestra. Anche l’adrenalina e la concentrazione ti impediscono di sentire dolore.”