Scuola, ritorno tra i banchi a rischio: un dislike ai 200mila docenti no vax

La scuola potrebbe non ripartire in presenza a causa della copertura vaccinale dei docenti insufficiente. Ma il "menomale è chiusa" è solo un ricordo

L'opinione di Gabriele Di Marzo
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In infanzia prima, da adolescente poi, non ricordo, sinceramente, di essermi disperato per un giorno di chiusura delle scuole. Anzi. Le nevicate collinari, gli scioperi improvvisi, le interruzioni di energia elettrica erano accolte tutte con un sorriso sornione nonché una breve ma intensa gioia. Come si cambia, come cambia il mondo. Soprattutto dopo una pandemia come quella che, ad oggi, ancora ci insegue. 

Lockdown, chiusura totale, didattica a distanza. Bambini, adolescenti e giovani universitari italiani hanno scoperto questo nuovo metodo formativo. A distanza, ognuno da casa. Interrogazioni, verifiche, e spiegazioni. Per un anno e mezzo, tra chiusure e riaperture continue. Una costrizione che ribalta, evidentemente, il paradigma della mia gioventù. La felicità della scuola chiusa è, oggi, solo un lontano ricordo. Perché, recentemente, la gioia è l’esatto contrario. La gioia è una scuola aperta, un compagno che ti abbraccia, una fugace merenda nei minuti di pausa. La nuova rivoluzione è tornare tra i banchi. Il paradigma del menomale è chiusa, diventa metamorfosi in quello del finalmente siamo ritornati. Ora lo stop estivo, ma Settembre? 

Oltre duecentomila professori non si sono vaccinati. Mica uno, duecentomila. Dati che il commissario Figliuolo ha subito passato alle Regioni. Duecentomila formatori, coloro che convivono nelle classi con il futuro del nostro Paese, hanno deciso di non sottoporsi al vaccino. Fosse così, sarebbe solo una scelta personale, anche se non condivisibile. Invece il rischio è altro ed altrove: la scuola potrebbe non ripartire in presenza perché la copertura vaccinale dei docenti non permette una sicurezza contro le varianti. 

Dati che fanno riflettere e discutere, anche e soprattutto in rete. Dove ieri Myrta Merlino, giornalista, ha espresso il suo parere. Come molti, ma nella stessa sostanza della linea data oggi dal CTS: i professori non vaccinati vanno convinti e fatti vaccinare. Perché il ritorno a scuola, in presenza, dipende da loro. Si, da loro. Ma interessa solo loro. Centinaia di migliaia di bambini, adolescenti e giovani che a casa non vogliono più starci. 

Il tweet della Merlino ha scatenato un tam tam di commenti. Giusto nelle intenzioni? Sbagliato nei modi? Sicuramente necessario. 

Perché tra i 200.000 professori ve ne sono alcuni, quasi sicuramente, che insegnano anche materie scientifiche senza fidarsi, evidentemente, della scienza. 

Il dislike stavolta va a loro che, convintamente, rifiutano d’imboccare l’unica strada d’uscita da questa terribile pandemia. Rifiutano il vaccino, creando l’anello debole in una catena che, evidentemente, potrebbe essere molto più forte. Coloro per i quali la formazione dovrebbe essere un paradigma di vita e non solo lavorativo, rifiutano il primo volendosi tenere stretto i benefici del secondo. Ma alle loro condizioni, meglio se da remoto. Meglio se in pigiama, forse con gli occhi ancora socchiusi. Meglio se in sordina e in low profile.

Per quelli che insegnare ed educare è solo un lavoro, va bene anche così. Perché loro, prima degli occhi dei ragazzi, guardano l’orologio. E poi scrollano Twitter, per rispondere alla cattivona della Merlino che li vorrebbe tutti vaccinati. Che ha osato dirgli, semplicemente, che forse sarebbe il caso di vaccinarsi. E che serve una sensibilizzazione maggiore per convincere gli indecisi. Una sensibilizzazione, aggiungo io, che interessa ognuno di noi. Ognuno di noi, come dicevano i politici negli ultimi giorni di campagna elettorale, può adottare un indeciso. E magari convincerlo. Stavolta non di ragioni partigiane, ma di quelle scientifiche. E magari può usare anche Twitter per lanciare dei messaggi in questo senso. Che strane e rivoluzionarie idee hanno questi giornalisti che ancora si fidano della scienza, vero?