Flotilla, la verità che nessuno osa dire. Ma Herzog sì
Isaac Herzog, Presidente di Israele
Dal Capo dello Stato Sergio Mattarella alla premier Giorgia Meloni, dal ministro degli Esteri Antonio Tajani a quello della Difesa Guido Crosetto, tutti hanno ammonito che l’Italia non può garantire la sicurezza della Global Samud Flotilla se tenterà di superare il blocco navale. In realtà, perché troppo scomoda da pronunciare apertamente, la verità non è stata detta fino in fondo. È come quando un maestro non dà subito la soluzione ma imposta la domanda in modo che gli alunni ci arrivino da soli: Israele ha il diritto dalla sua parte.
A fugare ogni dubbio ci ha pensato il presidente israeliano Isaac Herzog. Dopo aver ricevuto l’ambasciatore d’Italia Luca Ferrari, ha ribadito che Israele impedirà la violazione del blocco navale, aggiungendo però che le Forze armate sono state incaricate di intervenire senza ricorrere a forza letale. Una posizione chiara, coerente con il diritto internazionale marittimo e umanitario. Già a fine luglio, in uno scambio diretto con Mattarella, Herzog aveva respinto l’accusa di “uccidere indiscriminatamente” ricordando che Israele agisce secondo il diritto internazionale “in condizioni quasi impossibili” e che tutto ciò che vuole “è vivere in pace”.
Il quadro giuridico non lascia spazio a equivoci. Un blocco navale è legittimo se dichiarato, notificato, efficace e proporzionato: condizioni che Israele ha rispettato, come stabilisce la prassi internazionale e il Manuale di Sanremo. La IV Convenzione di Ginevra stabilisce che non si può ostacolare arbitrariamente il passaggio di aiuti “indispensabili” ai civili. Israele, infatti, non li nega: chiede che transitino per canali sicuri – come Cipro o sotto controllo ONU ed ecclesiastico – per evitare che diventino copertura per traffici di armi.
La flottiglia, invece, insiste a dirigersi direttamente verso Gaza. Un carico presentato come “umanitario” si mescola con attivismo politico e la presenza di figure istituzionali: parlamentari, sindacalisti, giornalisti. Questa commistione non rafforza la missione, ma ne mina la credibilità e soprattutto moltiplica i rischi. Non a caso l’articolo 51.7 del Protocollo I (1977) vieta espressamente l’uso di civili come scudi: la presenza di personalità pubbliche a bordo trasforma il convoglio in uno strumento politico, non in una missione neutrale.
Il paragone con la Mavi Marmara del 2010 regge poco. Allora il blocco fu giudicato legittimo, e l’unico punto contestato fu l’uso eccessivo della forza. Oggi Israele ha chiarito che la linea sarà diversa: fermezza nel far rispettare il blocco, ma senza ricorrere a forza letale. Nel 2010 il blocco era ancora contestato; oggi è consolidato, notificato e noto a tutti. Chi decide di violarlo non può appellarsi all’imprevedibilità: si assume una responsabilità consapevole e pesante.
Certo, come sempre nel diritto internazionale, non mancano aree grigie. Alcuni osservatori sostengono che il blocco, pur formalmente dichiarato, finisca per avere effetti pesanti sulla popolazione civile di Gaza, incidendo sull’accesso a beni essenziali e configurando in parte una forma di punizione collettiva. Altri sottolineano che ogni operazione di intercettazione in mare aperto comporta rischi, perché anche un uso non letale della forza può degenerare e avere conseguenze gravi. Ma queste obiezioni non cancellano il punto centrale: Israele applica un blocco legittimo e lo fa dichiarando di muoversi entro i limiti del diritto. Le condizioni giuridiche — dichiarazione, notifica, efficacia, proporzionalità — sono rispettate. Gli aiuti non verrebbero negati, ma incanalati attraverso vie sicure e verificabili. Herzog lo ha detto con chiarezza: interventi sì, ma senza forza letale.
Resta poco convincente, semmai, la scelta dell’IDF di rivelare solo ora presunti documenti che collegherebbero Hamas al finanziamento della Sumud Flotilla. Una mossa tardiva che rischia di offuscare la chiarezza della posizione israeliana: un fallo difensivo da cartellino giallo. Intanto la fregata Alpino sarà disponibile ad accogliere chiunque manifesti la volontà di trasferirsi a bordo, nel rispetto delle procedure di sicurezza e delle normative internazionali.