Flottiglia per Gaza: lo scudo umano politico-mediatico contro lo spirito della Convenzione di Ginevra

Di Ernesto Vergani

Gaza

Lo sguardo libero

Le navi della Global Sumud Flotilla sono in viaggio tra Italia e Tunisia, dirette verso Gaza. A bordo non ci sono soltanto viveri e medicinali, ma anche parlamentari, giornalisti e personalità pubbliche. Quando tenteranno di arrivare al largo della Striscia, vedremo come reagirà Israele: non assisteremo solo a un episodio marittimo, ma a un vero e proprio fuoco di fila mediatico e politico.

Non è solo questione umanitaria

Chi sostiene che la flottiglia è unicamente una missione di solidarietà dimentica un aspetto essenziale. Gli aiuti umanitari possono essere recapitati attraverso canali consolidati: Nazioni Unite, Croce Rossa, corridoi logistici internazionali. La scelta di caricare parlamentari e telecamere a bordo non è funzionale alla distribuzione di pacchi alimentari, ma alla costruzione di un messaggio politico e simbolico: mettere in scena un’operazione che, qualunque sia l’esito, produrrà un impatto mediatico. La missione, quindi, ha un doppio livello: aiuti concreti, certo, ma anche una provocazione comunicativa pensata per generare indignazione e consenso.

Scudo umano e diritto internazionale

Il concetto di scudo umano ha un preciso significato giuridico. Nel diritto internazionale umanitario, costringere civili a proteggere obiettivi militari è un crimine di guerra, vietato dalle Convenzioni di Ginevra (Protocollo I, art. 51.7) e dallo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale (art. 8.2.b.xxiii). La flottiglia si muove però su un piano diverso: non ci sono civili obbligati, ma parlamentari e giornalisti che scelgono volontariamente di imbarcarsi. Non siamo davanti a una violazione giuridica, bensì a uno “scudo umano politico-mediatico”. La logica, tuttavia, resta la stessa: usare la presenza di persone riconosciute per rendere più difficile e costoso un intervento militare. In un caso l’arma è la vulnerabilità dei civili; nell’altro è la forza d’urto delle immagini e della diplomazia. Qui emerge il tema del principio di lealtà, cardine del diritto dei conflitti armati: la guerra – quando purtroppo si combatte – deve svolgersi senza inganni che mettano a rischio i civili. Per questo, anche se lo scudo umano politico-mediatico non costituisce un crimine di guerra, contraddice lo spirito della Convenzione di Ginevra e resta un espediente ambiguo: per alcuni un atto di coraggio civile, per altri una forma di strumentalizzazione, se non addirittura un gesto vigliacco.

Antisemitismo e uso delle parole

Tutto parte dal 7 ottobre 2023, con gli attacchi di Hamas che hanno colpito Israele causando almeno 1.194 morti tra civili e militari e circa 250 rapiti, portati prigionieri nella Striscia di Gaza, trasformata di fatto in un gigantesco scudo umano. Da lì si è innescata l’attuale spirale di violenza, con la risposta israeliana su Gaza che – secondo il Ministero della Sanità palestinese – ha provocato oltre 62.000 morti, di cui più di 18.400 bambini. Su questo sfondo è riemerso un antisemitismo carsico che, come spesso accade nella storia europea, alimenta un’indignazione sbilanciata contro Israele. È però fondamentale usare le parole con precisione, come ha ricordato Enrico Mentana: si può parlare di crimini di guerra, ma non di genocidio, che presuppone la volontà di eliminare un popolo o una razza. Confondere i due concetti è un errore, che rischia di distorcere la percezione della realtà e di legittimare ulteriori pregiudizi.

Prepararsi al fuoco di fila

Quando la flottiglia sarà intercettata – con un fermo tecnico o con un’azione più dura – le immagini faranno il giro del mondo. Un semplice controllo di sicurezza diventerà “tragedia umanitaria”; un respingimento sarà raccontato come “atto di guerra contro civili inermi”. È il potere dello storytelling. L’Italia e l’Europa saranno chiamate a prendere posizione. Nei prossimi mesi gli spettatori, i lettori e gli utenti digitali saranno sommersi da immagini e narrazioni. Per orientarsi dovranno tenere presenti alcuni punti chiave: la distinzione tra aiuto umanitario e propaganda, tra scudo umano di guerra e scudo umano politico-mediatico, fino all’uso corretto di parole come “genocidio” o “crimini di guerra”. Questo non significa chiudere gli occhi di fronte al dramma: umanamente, tutti sono dalla parte della sofferenza degli innocenti e di una popolazione stremata. Né si può ignorare che una parte consistente dell’opinione pubblica israeliana stessa è contraria al governo Netanyahu, sostenuto dagli estremisti, e chiede una politica diversa, meno radicale.

 

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