Il ’68 non è mai finito. Nel suo nuovo libro Giancarlo Cesana racconta come la ribellione di ieri è diventata il conformismo di oggi

Di Ernesto Vergani

Giancarlo Cesana

Lo sguardo libero

C’è un filo sottile che unisce le illusioni del Sessantotto alla crisi di senso di oggi. Giancarlo Cesana, medico, intellettuale cattolico e volto storico di Comunione e Liberazione, lo ricostruisce nel suo libro "L'interminabile '68/ Un punto di vista cattolico (Liberilibri, 2025, prefazione di Giuliano Ferrara) con la chiarezza di chi ha vissuto quegli anni sulla propria pelle. Ne esce un ritratto asciutto, controcorrente, a tratti spiazzante: la stagione che si è proclamata della libertà - sostiene Cesana - ha finito per partorire un conformismo nuovo, più sottile e invadente.

L’autore parte dal suo ingresso alla Statale di Milano nel 1967: il giovane figlio di un tranviere che assiste incredulo alla nascita di un movimento rivoluzionario guidato, paradossalmente, dai figli della borghesia. Da qui una diagnosi impietosa ma non rancorosa: l’università italiana, travolta dall’onda egualitaria, ha perso il senso del merito e, con esso, la propria funzione di ascensore sociale. La liberalizzazione degli accessi, l’autogestione, la progressiva deresponsabilizzazione - scrive - hanno seminato un disordine che ancora oggi paghiamo.

Cesana non fa sociologia, fa esperienza. Il racconto personale diventa lente per leggere mezzo secolo di cultura pubblica: la rottura con la tradizione cristiana, l’illusione di un’eguaglianza senza verità, la nascita di un assistenzialismo che confonde giustizia e paternalismo. “Una volta che il criterio del vero sia messo da parte e sostituito con quelli dell’originale, dell’autentico, del progressivo, è inevitabile che conti soltanto l’affermazione di sé”, scrive citando Augusto Del Noce. E aggiunge: “La nostra società del benessere, così attenta ai desideri, finisce preda di un relativismo uguale e opposto a quello di una società senza sviluppo.”

Ferrara, nella prefazione, lo definisce “un manuale della desuetudine”: il rifiuto dell’originalità a tutti i costi, la fedeltà a un pensiero “felicemente inattuale”. È vero, Cesana appartiene a quella generazione di cattolici che hanno scelto la concretezza dell’obbedienza all’utopia dell’autonomia. Ma la sua voce non è nostalgica: è il richiamo, oggi raro, a una libertà che nasce dalla dipendenza, non dalla rivolta. Nel tempo della neutralità etica e dell’“ognuno ha la sua verità”, questo libro ricorda che la verità, se esiste, è una sola, e che proprio nel dimenticarla abbiamo perso il coraggio di educare.

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