La recensione di Paolo Mereghetti sul film di Checco Zalone: un esempio di giornalismo libero

Di Ernesto Vergani

Checco Zalone

Lo sguardo libero

La recensione di Paolo Mereghetti sul Corriere della Sera di oggi sul film Buen Camino di Checco Zalone non è solo una lettura critica, ma il sintomo dell'attuale stato del giornalismo italiano. Da un lato è la spia di un giornalismo debole, timoroso, sotto pressione, che fatica a esercitare il proprio ruolo critico, dall’altro è la dimostrazione che, dentro questo sistema, resistono ancora alcuni anticorpi. Mereghetti è uno di questi.

Buen Camino arriverà nelle sale il giorno di Natale con una distribuzione imponente – si parla di mille copie – anche se qui non è il caso di aprire il capitolo, delicato, della distribuzione cinematografica italiana. Si può però osservare il clima mediatico che accompagna il ritorno di Zalone a cinque anni dall’ultimo Tolo Tolo (46 milioni di euro di incassi), preceduto da Quo vado? (65,4 milioni) e Sole a catinelle (43 milioni). Sul solo Corriere della Sera di oggi campeggia un’ intervista firmata da Aldo Cazzullo, con foto in prima pagina di Checco Zalone; Zalone è protagonista anche della copertina del settimanale 7, mentre Corriere TV documenta la presentazione del film al Cinema Barberini di Roma. Un’onda promozionale compatta, pervasiva, difficilmente aggirabile.

Dentro questo scenario, la recensione di Mereghetti sullo stesso giornale colpisce. Con tatto, misura e prudenza, Mereghetti non fa una stroncatura, ma non è indulgente e prende chiaramente le distanze. A proposito del protagonista, scrive: “Come spettatore faccio fatica a credergli. Molta fatica”. Parla poi di “un elenco di cafonaggini senza più quella meravigliosa mediocrità d’antan”. Quando si cita Gaza afferma: “Qui, più che di politically incorrect, parlerei di cattivo gusto”. Critica anche la debolezza della sceneggiatura: “Le trasformazioni di Zalone da insensibile genitore in convinto pellegrino sembrano il frutto di una bacchetta magica tanto sono repentine”; “i cambiamenti caratteriali di Cristal non hanno mai una vera giustificazione narrativa”; fino a osservare che “l’improvviso attacco di prostata sembra appiccicato al film solo per giustificare la canzoncina “Prostata Enflamada”.

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