Velo integrale vietato: una legge giusta, senza scandalo

Di Ernesto Vergani
Lo sguardo libero

La proposta di legge di Sara Kelany, Galeazzo Bignami e Francesco Filini di Fratelli d’Italia, sostenuta dal sottosegretario Andrea Delmastro, che vieta il velo integrale in scuole, uffici e luoghi pubblici, non dovrebbe suscitare scandalo: riafferma l’identità della nostra civiltà democratica, tutelando un principio essenziale della convivenza civile: il volto scoperto come segno di fiducia, uguaglianza e riconoscibilità tra cittadini. Per completezza, una proposta analoga era stata avanzata da Igor Iezzi della Lega, incentrata sulla dignità della donna, e la Regione Lombardia aveva già previsto nel 2015 un divieto d’ingresso nei luoghi pubblici col volto coperto.

Non si tratta di un unicum italiano. Leggi analoghe esistono da anni in Francia, Belgio, Olanda, Austria, Danimarca, Bulgaria e Svizzera. In quei Paesi il divieto del velo integrale è stato introdotto nel nome della sicurezza, ma anche come difesa della laicità dello Stato e della dignità della donna. Nessuno, in Occidente, ha ritenuto che queste norme ledessero la libertà religiosa: piuttosto, hanno sancito che in una società libera il diritto di pregare non coincide con il diritto di nascondersi.

La questione non è solo giuridica: è culturale e simbolica. Viviamo nel pieno di uno scontro di civiltà, in cui l’Occidente liberale – con i suoi valori di libertà individuale, uguaglianza tra uomo e donna, responsabilità e ragione – è sfidato da culture e regimi che negano questi principi. L’Islam radicale, il teocratismo iraniano, i totalitarismi russo e cinese condividono un tratto comune: la subordinazione dell’individuo a un potere assoluto, politico o religioso. In questo contesto, il volto velato non è un semplice abito, ma un simbolo politico: quello di una cultura che separa, divide, nega la reciprocità e la parità.

Lo si vede anche nelle proteste per Gaza, dove le navi della flottiglia “umanitaria” partono verso la Striscia ma non verso l’Ucraina, dove le donne, insieme agli uomini, difendono la libertà. Colpisce il silenzio sul tema femminile: nessuna attivista si chiede che cosa accadrebbe alle donne palestinesi sotto Hamas, dove sarebbero costrette al velo integrale, lo stesso che anche loro finirebbero per portare se l’islamismo prevalesse in Occidente. E come nelle piazze pro-Pal o No Tav, dove si manifesta a volto coperto, si pretende di difendere la libertà negando la democrazia, che tutela la “sacralità” dell’individuo libero di esprimersi, ma sempre a volto scoperto.

Difendere il diritto di vedere e di essere visti non è discriminazione, ma affermazione della nostra civiltà con la C maiuscola: quella che rispetta le leggi, le donne, la libertà di coscienza. Non si tratta di imporre uno stile di vita, ma di ricordare che la democrazia non è un supermercato dei diritti dove ognuno prende ciò che gli conviene: è un patto comune fondato sulla responsabilità e sul riconoscimento reciproco. Riconoscimento che, per definizione, comincia dal volto.

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