Maturità, rifiutare di fare l'esame orale non è solo una provocazione giovanile. Ecco cosa si nasconde dietro

Il “no” agli orali dei maturandi è un gesto su cui dobbiamo interrogarci per comprendere alcuni aspetti del disagio giovanile e ribaltare l’approccio di risposta di una generazione fragile

Di Tiziana Rocca

Maturità

Rocca sbrocca

Maturità, rifiutare di fare l'esame orale non è solo una provocazione giovanile

Il rifiuto di alcuni maturandi nel sostenere l’esame orale di maturità dopo aver svolto gli scritti può sembrare, ad una prima riflessione, un singolare gesto di provocazione giovanile, autolesionista e impensabile per la maggior parte delle persone che hanno affrontato gli esami di maturità in altre epoche, quando, tra timore e reverenza dei professori esaminandi, l’unico obiettivo era il superamento degli esami di maturità per entrare in una nuova fase della vita e affrancarsi dalla scuola anche come accesso alla libertà dell’età adulta.

Non ci sono dubbi, si tratta di un gesto di inaccettabile sfida all’autorità scolastica che avrà come conseguenza, come peraltro ha sottolineato il ministro Valditara, la bocciatura. Sacrosanta, se si ha la faccia tosta di mancare di rispetto al professore, e cioè, all’adulto che è incaricato di valutare, e insegnare, e fare, cioè, il proprio mestiere per cui ha studiato e per cui è retribuito.

Ma soprattutto per la mancanza di senso di responsabilità di fronte al rispetto delle regole e di atteggiamento di vita. Perdere un anno e andare incontro alla bocciatura alla maturità per non sostenere gli orali per il troppo stress è una follia, sembra. Ma la motivazione dello stress, se reale, forse sembra più un messaggio di inadeguatezza o di messa in discussione dello stesso valore del diploma, che forse, in un contesto economico-culturale come quello in cui viviamo, viene concepito come non determinante per il proprio futuro.

Secondo quanto emerge da una consultazione pubblica tra circa 7.500 studenti italiani della scuola secondaria promossa dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza Il 51,4% dei ragazzi soffre in modo ricorrente di stati di ansia o tristezza prolungati. Il 49,8% lamenta un eccesso di stanchezza. Il 46,5% dichiara di provare nervosismo.  E ancora: il 29% ha  frequenti mal  di  testa e il 25,4% dichiara di non dormire bene..

I maturandi di oggi sono gli adolescenti del periodo del Covid che hanno vissuto una fase delicata della loro vita privati della libertà e senza poter fare significative esperienze di vita, immersi in un surreale grigiore. Senza potersi formare. I maturandi di oggi, i ragazzi di diciotto anni per intenderci, sono la generazione che è cresciuta con i social network.

Facebook è stato lanciato in Italia nel 2008, due anni dopo è nato Instagram. Sono nativi digitali prediligono la comunicazione digitale come i messaggi, le chat e i social rispetto alle interazione faccia a faccia e se da un lato hanno una predisposizione alla tecnologia, allo stesso tempo molti di loro ne sono dipendenti e vivono circondati da tutto quello che ne rappresenta la sua degenerazione come il cyber bullismo, la pornografia, la violazioni dei dati, l’isolamento, l’eccesiva esposizione da social. Insomma, un sovraccarico emotivo esistenziale che molti vivono come un vero e proprio disagio mentale soprattutto quando coinvolti in prima persona.

Ma il gesto del rifiuto di affrontare gli esami orali di alcuni maturandi deve portarci, non ad assecondarli passivamente con scuse e indulgenza, ma ad interrogarci su come rinforzare e responsabilizzare i nostri ragazzi. Sono convinta che con la giusta attenzione possiamo interpretare il disagio di molti giovani e ribaltare l’approccio di risposta. Ci vogliono soluzioni pratiche per rilanciare la vitalità di una generazione che vive con disagio certi aspetti della quotidianità.

Un’idea potrebbe essere quella di inserire nei programmi scolastici un percorso di formazione sportiva accademica, stile campus americano per intenderci, per formare nello sport il carattere, la socialità e il rispetto reciproco. Oppure, perché non immaginare di poter scegliere i corsi da seguire materia per materia così da cercare di intercettare le passioni e gli interessi dei ragazzi sin da giovanissimi in modo da motivare e far percepire da subito il valore e la forza dell’istruzione di pari passo con l’evoluzione fisica ed emotiva, al di là della conquista del “pezzo di carta” alla fine del percorso studi? Mi sembra, infatti, che i ragazzi ci stiano chiedendo di vedere la vita, per quella che è oggi, dal loro punto di vista considerando, anche, la loro stessa crisi d’identità.

Il disagio mentale deve essere messo al centro della discussione tra i giovani e gli insegnanti che devono essere formati per intercettare e affrontare le difficoltà emozionali dei ragazzi prima che diventino un problema e avvelenino il loro percorso di crescita. Hanno bisogno di certezze, di riferimenti stabili, di esempi di vita. Non tutti possono contare sulla stabilità della propria famiglia al giorno d’oggi e allora perché non cercare di imparare sul campo certi valori?

Un periodo di servizio civile obbligatorio, all’interno dello stesso percorso scolastico, potrebbe essere un’esperienza molto formativa per acquisire responsabilità e rispetto per il prossimo. Farsi un’idea di come va veramente il mondo dei meno fortunati nella speranza che possano fare dell’impegno il punto di partenza per la scoperta di loro stessi.

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