Forte dei Marmi, manager aggredito e rapinato dell’orologio da 30mila euro: è allarme sicurezza

Colpito alle spalle e derubato di un orologio da 30mila euro: il manager di un colosso del lusso finisce in ospedale. E la città perde pezzi di identità.

Giovanni Alessi
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Colpito alle spalle, scaraventato contro un cancello, picchiato e derubato del suo orologio da 30mila euro.

Non è il resoconto di una rapina avvenuta in una metropoli notturna o in una zona abbandonata al degrado. È accaduto a Forte dei Marmi, cuore scintillante della Versilia, simbolo per decenni di eleganza e sicurezza, oggi sempre più fragile. Vittima, un manager italiano sulla cinquantina, dirigente di un colosso del lusso francese, che dopo una tranquilla giornata trascorsa tra boutique, gelateria e libreria si è trovato nel mirino di un rapinatore. Il bottino: un orologio. Il bilancio: 45 giorni di prognosi e un intervento chirurgico alla mano.

Ma questo non è un caso isolato. È una ferita aperta nel cuore di una città che un tempo era sinonimo di sobrietà e tranquillità. Dove si passeggiava in infradito, senza paura. Dove la discrezione del lusso si mescolava alla naturalezza della quotidianità, senza bisogno di ostentazione. Oggi quella quiete si sgretola sotto i colpi di una gestione miope, incapace di affrontare con lucidità le sfide del presente.

Serve un ritorno consapevole alla cultura, alla bellezza, alla sobrietà. È questa l’anima da ritrovare. È questa la Forte dei Marmi che desidera chi la vive davvero non il popolo del selfie, che consuma un tramonto solo per mostrarlo, ma non sa più riconoscerlo.

Forte è stata, ed è ancora in parte, un luogo simbolico, intriso di storia e di un’eleganza silenziosa. Tra le sue strade hanno camminato personalità di rilievo: gli Agnelli, Giovanni Gentile, Guglielmo Marconi, Riccardo Bacchelli, Henry Moore, Mina. Anche la letteratura ha trovato qui un rifugio fertile: Pirandello, Nomellini, Viani, Soffici, Montale solo per citarne alcuni si davano appuntamento per un aperitivo in Piazza Garibaldi, tra conversazioni lente e tavolini in ferro battuto.

C’era e può esserci ancora un’identità precisa. Forte era il punto d’incontro tra leggerezza e pensiero, tra villeggiatura e arte. Anche la musica leggera ha trovato qui la sua consacrazione: “La Capannina” non era solo un locale, ma un palcoscenico di ispirazione. È qui che Gino Paoli ha dato voce al suo “Sapore di sale”, Edoardo Vianello ha cantato “Pinne, fucile e occhiali”, e Bruno Lauzi ha sussurrato “Ritornerai”. Un patrimonio culturale e umano che non può essere barattato con l’effimero, perché non vive di chi fotografa, ma di chi appartiene.

Nei giorni scorsi, un altro episodio ha sollevato allarme: un uomo sorpreso in pieno centro a compiere atti osceni davanti a una ragazzina. La Polizia Municipale è intervenuta, ma non ha potuto formalizzare la denuncia: mancava un ufficiale in servizio. La pattuglia ha atteso per quasi due ore l’arrivo della Polizia di Stato. Due ore d’impotenza che pesano come un macigno. Da mesi si denuncia la carenza di organico, la mancata sostituzione del vicecomandante in pensione, l’assenza di pianificazione. L’estate è arrivata, ma mancano i fondamentali: agenti, presidio, reperibilità.

Forte dei Marmi vive uno scollamento evidente tra l’immagine che propone e la realtà che si sperimenta. Una città da copertina, dove però dietro la vetrina si allungano le ombre. Una località che rischia di diventare la caricatura di sé stessa, ostaggio di un turismo distratto e veloce, che consuma ma non restituisce. Si preferisce attrarre il popolo del selfie, quello che prende tutto e non lascia nulla, che fotografa ma non conosce, che passa ma non appartiene. E chi ci vive, chi ama questo angolo d’Italia, si sente sempre più spettatore impotente. E la politica, dei politici romani di destra e di sinistra tacciono, chiusi nei salotti degli amici, tra una cena elegante e un invito esclusivo,tutta, resta in silenzio. Un’amministrazione che non pianifica, un’opposizione che non incalza. Come se tutti avessero accettato l’idea che questa città debba piegarsi a una nuova identità: non più rifugio di scrittori, imprenditori, poeti e intellettuali, ma un luna park per arricchiti distratti. Dove il residente viene dimenticato, e l’identità del territorio si scioglie giorno dopo giorno tra le pieghe di un turismo che sfrutta senza restituire.

Forte dei Marmi merita di più. Merita una visione. Merita rispetto. Perché non è impossibile coniugare lusso e ordine, turismo e vivibilità, crescita economica e sicurezza. Ma serve coraggio amministrativo. Serve ascolto. Serve azione.

Perché la sicurezza, come la qualità urbana, non si compra a colpi di slogan. Si costruisce con risorse umane, con presenza, con visione. Si difende giorno per giorno, angolo per angolo. Basta una rapina, un gesto impunito sotto gli occhi dei passanti, per incrinare un mito. E con quel mito, anche un’economia che su di esso ha costruito il proprio valore.

Forte dei Marmi sta perdendo il suo fascino? Forse sì. Ma non è troppo tardi. Servono decisioni coraggiose, un cambio di passo netto, una politica che esca dagli aperitivi e dalle feste in spiaggia, e torni in strada. Dove le persone vivono. E dove, oggi, sempre più spesso, hanno paura.

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