Lavoro, risorse umane post covid e (calo) vita lavorativa: Italia ultima in Ue

HR, focus sugli obiettivi di business (57,4%) e formazione in azienda. Italia fanalino di coda in Europa: si lavora 31, 2 anni

di Elisa Scrofani
Cronache
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Lavoro, risorse umane nel 2021: le aziende non abbandonano le tradizionali modalità di valutazione. Per il 65,2% sono efficaci per il proprio business. A essere mutati sono i parametri: nella nuova normalità al centro è l'autonomia nella gestione del lavoro, fondamentale per il 31,8%

Se il covid ha impattato su diversi aspetti della vita professionale, a quasi due anni di distanza è possibile individuare che cosa è mutato nella selezione di dipendenti e collaboratori in termini di valutazione delle risorse. InfoJobs, nota piattaforma per la ricerca di lavoro online, ha fotografato la situazione post pandemica attraverso un'indagine condotta a giugno 2021 su un campione di 112 aziende (il 58% con meno di 50 dipendenti, il 28% tra 51 e 500, il 14% oltre 500) sul territorio nazionale. Dopo l’autonomia nella gestione del lavoro segue per ordine di importanza la capacità di ideare e integrare nuove modalità di comunicazione dei risultati (27,3%), nuovi modi di condividere e fare squadra (22,7%), considerato anche il nuovo contesto del lavoro agile.

Dal punto di vista metodologico il più gettonato è il colloquio periodico (79,4%), in cui si scambiano opinioni in un confronto diretto, spesso affiancato dalla compilazione di un file condiviso con obiettivi, task e valutazione (27,9%) o da una scheda riassuntiva a cura del valutatore (19,1%). Meno utilizzato rimane al momento il sistema gestionale online (10,3%). La valutazione è affidata per la maggior parte al responsabile/manager in linea gerarchica (35,3%), ma anche a più figure (23,5%) che comprendono risorse umane, top management o anche un consulente esterno. Il coinvolgimento diretto e attivo del professionista è ancora poco utilizzato: solo il 32,4% dei rispondenti dichiara di avere in piano un percorso di autovalutazione per tutte le figure aziendali, l’8,8% lo prevede solo per il top management, mentre oltre la metà delle aziende dichiara di preferire solo la valutazione top down (58,8%)

Per quanto riguarda la periodicità, sviluppo e performance del collaboratore vengono poste alla lente d’ingrandimento soprattutto con cadenza annuale (30,9%) oppure su richiesta della risorsa (26,5%) anche se, a detta delle aziende rispondenti, l’ideale sarebbe un percorso continuativo di monitoraggio progressivo (30,9%), o almeno a cadenza trimestrale (26,5%).

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Che cosa ha più valore oggi rispetto al passato nella valutazione delle performance? Il parere delle aziende è univoco: raggiungere i risultati di business prefissati (57,4%), la capacità di innovare e la flessibilità nell’adattarsi a richieste e cambiamenti (42,7%). Al terzo posto è il rispetto delle skills richieste dal relativo livello professionale (29,4%). Anche su quello che ormai conta meno le aziende sono d'accordo: perdono terreno il “cartellino”, le ore sul posto di lavoro non sono determinanti (39,7%), e il luogo in cui si svolge l'attività (33,9%).

Infine crescono gli investimenti in formazione. Il 72% delle aziende ha potenziato l’offerta formativa per i dipendenti, rafforzando l’offerta dei corsi già a disposizione (35,4%) o adottando modalità e-learning (27,1%).

Vita lavorativa: la più breve in Italia, poi in Grecia. La più lunga in Svezia

E' quanto emerso dall'analisi dell'Eurostat. Nel 2020 si è registrato un calo della durata media della vita lavorativa per un 15enne dell'Unione Europea a 35,7 anni, 0,2 anni in meno rispetto alla media del 2019. Si tratta della prima contrazione dal 2000 a questa parte. La crisi covid ha impattato influenzando anche ad esempio la decisione di molti giovani di immettersi, ormai pronti, nel mercato del lavoro, inducendoli a rinunciare alle ricerche in vista di scarse aspettative di riuscita.

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Tra gli stati Ue Svezia, Paesi Bassi e Danimarca hanno la durata più lunga della vita lavorativa (rispettivamente 42,0, 41,0 e 40,0 anni), seguiti da Estonia (39,2 anni), Germania (39,1 anni) e Finlandia (38,8 anni). Per contro, dove si lavora meno anni è l' Italia. La media che un 15enne italiano ha davanti a sé è di 31,2 anni. Scavalcata dalla Grecia, 32,8 anni, dalla Croazia, anche a 32,8 anni di media, dal Belgio (33,4 anni) e dalla Bulgaria (33,5 anni). Sul dato italiano a influire non  è solo la maggiore durata dei percorsi formativi per finire i quali i giovani iniziano a lavorare dopo rispetto che altrove, ad esempio in Germania o in Scozia, ma incidono anche i numeri del lavoro in nero, il 14% circa del totale, che sfuggono alle registrazioni ufficiali.

(fonte: Eurostat)