Ma era davvero necessario arricchire il codice di un articolo dedicato al femminicidio?

Come farà un Giudice a distinguere il concetto di omicidio volontario semplice, e distinguerlo invece da quello commesso con discriminazione e odio?

di Vincenzo Rienzi
coltello
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577 bis, ma era davvero necessario arricchire il codice di un articolo dedicato, in modo specifico, al femminicidio?

Facciamo le doverose premesse del caso. L’attuale contesto storico, così come lo stiamo vivendo, e così come ci viene proposto in ogni piattaforma mediatica, ha posto l’esecutivo nella doverosa necessità di dare un segnale, avverso una fattispecie – mi sia perdonata la terminologia vagamente tecnica, da penalista quale sono – che sta ponendo seri dubbi sulla integrità fisica, morale e culturale della nostra società.

Quindi sia sempre il benvenuto colui che propone, lancia, pubblica o anche solo parla o fa parlare, di questo fenomeno così miseramente sopravvenuto agli onori di ogni quotidiana cronaca. Mi conoscete e, come sempre, in tutto questo c’è un però. E questo però non vuole essere la solita nota di critica a un governo che fa quello che può avverso un fenomeno che, diciamocelo, non può oggettivamente essere fermato da un governo politico.

La mia, più che altro, come ho già avuto modo di affermare in altre piattaforme (inclusi i social network), è una proposta/riflessione. Andiamo con ordine. Il nuovo articolo introduce nel Codice penale una fattispecie autonoma: “femminicidio”. La norma punisce con ergastolo chiunque cagioni la morte di una donna quando il fatto è “commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna” oppure per “reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità”.

Fuori da questi casi tipici, si applicherà la fattispecie ordinaria di omicidio volontario (art. 575 c.p.). Prima domanda: come farà un Giudice a distinguere il concetto di omicidio volontario semplice, e distinguerlo invece da quello commesso con discriminazione e odio? Un omicidio – d’impeto – che non sia premeditato, quando non è commesso con odio?

Il giudice, in pratica, nella concreta fase dell’interpretazione e applicazione, potrà (dovrà) attribuire alla condotta motivazioni soggettive (odio, discriminazione, prevaricazione) anche in presenza di elementi non chiari o controversi, punendo con l’ergastolo non “solo” per un’azione violenta, ma per il presunto mondo interiore — la mentalità, le convinzioni, le intenzioni profonde.

Ma questa indeterminatezza contrasta con il principio della certezza del diritto. Non è prudente, per la tutela dei diritti, affidare alle interpretazioni discrezionali di un Magistrato una norma che commina la pena più grave possibile. E, inoltre, perché si configura questa tipologia di nuovo delitto unicamente per il caso che la vittima sia una donna? Cosa accade, invece, se la vittima è un uomo, o un transessuale? Si prefigura una sorta di trattamento discriminatorio per il sol fatto che la vittima sia di sesso diverso da quello femminile? Quale è la motivazione logica che si pone alla base della ratio normativa? L’odio e la discriminazione non può pertanto configurarsi nei confronti di un soggetto che sia di sesso diverso da quello femminile?

Tali rilievi sollevano un problema di coerenza sistematica: se la ragione della tutela speciale è l’odio di genere o la discriminazione, allora andrebbe riconosciuta non solo come fattispecie autonoma ma in forma di aggravante/provocazione del movente, in un contesto più ampio di violenza di genere, come del resto è la prassi in altri ordinamenti.

Ma, infine, è davvero utile una fattispecie di reato autonoma? Sembra quasi di trovarsi innanzi a una sorta di “penalismo simbolico” (mi si perdoni la parola sicuramente non presente sul vocabolario della lingua italiana ma è utile a rendere bene l’idea di ciò che voglio stare a significare). D’altronde, la condanna all’ergastolo la si può conseguire anche contestando l’omicidio di cui all’articolo 575 codice penale.

Sapete poi una cosa, da uno studio accreditato è emerso che la maggior parte dei colpevoli di omicidi a sfondo passionale, nell’imminenza di commettere il fatto ha affermato di agire nella piena consapevolezza, poi, di dover andare in carcere, le persone cioè, commettono questa tipologia di reati e quasi sempre non tentano di fuggire anzi, quasi sempre si consegnano spontaneamente alle autorità e solo dopo tempo – non tutti – si pentono di ciò che hanno fatto. Dove voglio arrivare: introdurre simbolicamente una fattispecie di reato specifica questo tipo di delitti va benissimo, cerchiamo però anche di agire in modo più efficace per ciò che concerne la tutela preventiva da questo tipo di reati.

Alcuni spunti pratici: applicare la misura cautelare (non necessariamente il carcere o il braccialetto elettronico) già alla prima denuncia da parte della vittima. E ancora, se la vittima ritratta, oppure decide di non denunciare, applicare – cautelativamente – lo stesso la misura cautelare preventiva.

E poi, ovviamente, continuare con determinazione a insegnare in ogni angolo della nostra vita, privata, pubblica e sociale, l’educazione a non fare, della propria frustrazione, debolezza o sconforto, un’arma in danno di chi con questa condizione c’entra poco o niente. Siamo sulla giusta strada, ma accanto ai nuovi reati, implementiamo la tutela preventiva della parte debole, sennò non avremo – ve lo garantisco – una inversione di tendenza.

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