Troppo sangue, pochi fatti. L'Italia è ormai assuefatta dalla finta cronaca nera

Lo spazio dedicato al gossip di cronaca nera – non più a quella vera – sottrae spazio e attenzione ad altro, con la scusa che altro non genera altrettanta attenzione

di Antonio Mastrapasqua
coltello
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Troppo sangue, pochi fatti

Edilio Rusconi, che di stampa popolare se ne intendeva, anche più di Angelo Rizzoli (ed è tutto dire), aveva una ricetta semplice: fai piangere o fai ridere (ed è sempre stato più difficile). Così ti leggeranno. Gli anni Cinquanta o Sessanta del secolo scorso non erano anni ansiogeni, anzi, anche il “noir” gettava segnali universali, occhieggiava alla tragedia greca. I cronisti giudiziari erano del vaglia di Dino Buzzati, per capirci.

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La cronaca nera da sempre è stata la chiave del successo per la vendita dei giornali. Oggi però la si è trasformata nello sguardo dal buco della serratura, magari in un loop temporale che deforma dati e motivazioni, a distanza di anni dai fatti. La cronaca nera non ricercava risvolti o retroscena, ma la verità tragica della realtà.

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E la cronaca nera si giustificava con la legge aurea del giornalismo: un cane che morde un uomo non è una notizia. Ma se a essere morso è un cane e il mordace è un uomo, allora ecco, il titolo è servito. Ma per fortuna gli uomini morsicatori sono una sparuta minoranza. A leggere i giornali di oggi, o a seguire i talk show televisivi del pomeriggio, sembra invece che non ci sia altro. Delitti efferati, spesso femminicidi, omicidi da riesumare alla ricerca di nuove verità, cold case, e delitti risolti da risolvere di nuovo: la realtà è solo questa?

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Qualche giorno fa il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis, è sbottato in una delle sue colorite espressioni, che lo hanno reso macchietta da imitare: “Fate un telegiornale della disgrazia. Pieno di cattive notizie, roba da toccarsi…”. Il resto lo si può immaginare. C’è del vero. Pensare positivo rende positiva la vita. Da Jovanotti potremmo fare un salto carpiato e arrivare alla celebre frase di Antonio Gramsci, che suggeriva la necessità dell’ottimismo della volontà.

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E’ lecito chiedersi se la realtà rappresentata dai media di oggi – cartacei, web, social – sia aderente a quella realtà quotidiana in cui lavoriamo, ci affanniamo spesso, ci divertiamo qualche volta, ci adoperiamo sempre per cercare una vita migliore.

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In questa agenda setting – senza cercare l’esistenza di “grandi vecchi” manipolatori o di strutture organizzate del potere – di fatto i media decidono gli argomenti cui prestare attenzione, cui dedicare spazio, sottraendolo ad altri temi che fanno parte di una realtà che resta dimenticata, perché esclusa dalle luci della ribalta.

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Negli anni passati tutte le colpe erano state attribuite alla tv commerciale, quindi a Silvio Berlusconi. Oggi non c’è programma tv – dalla Rai a Mediaset, passando per La7 e Sky – che non ceda a queste scalette nei programmi, e nella stampa – grande, media, di carta o digitale – è lo stesso, almeno in Italia.

Il cortocircuito è evidente. Moneta cattiva scaccia moneta buona: lo spazio dedicato al gossip di cronaca nera – non più alla vera cronaca nera – sottrae spazio e attenzione ad altro, con la scusa che altro non genera altrettanta attenzione. E’ un evidente principio di dipendenza che si autoalimenta: le sostanze stupefacenti ottengono così il loro successo presso i consumatori, rendendoli abituali.

L’apparato mediatico – meticciato tra informazione e intrattenimento – crea il copione della nostra vita, distogliendo l’attenzione dalla produttività inadeguata del nostro mercato del lavoro, così come dalla mancata realizzazione della metà delle opere annunciate per il Giubileo (ad Anno Santo ormai largamente inoltrato). O da mille altri “noiosi” argomenti della nostra vita reale.

Più facile rivolgersi alla ricerca di vecchie tracce di Dna, o di assassini feroci che si scoprono serial killer. Salvo poi solleticare l’inopportuno protagonismo di qualche magistrato che si sente in dovere di “adeguarsi” allo spirito del tempo, inseguendo improbabili soluzioni giudiziarie che hanno il vantaggio di trovare qualche capro espiatorio da sottoporre alla gogna mediatica, a prescindere dalle responsabilità verificabili nelle indagini e nel processo. Il sonno della ragione genera mostri. Sarebbe il tempo di qualche brusco e opportuno risveglio.

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