“L’indifferenza uccide prima dell'atto violento”, su Affaritaliani la denuncia di Giuseppe Delmonte, orfano di femminicidio
Il racconto di chi ha trasformato il dolore per l’omicidio della madre in impegno pubblico
Giuseppe Delmonte
Giuseppe Delmonte ad Affaritaliani: “Da orfano invisibile a voce di chi non deve più restare solo”
Nel giorno in cui il Paese commemora il 25 novembre, la storia di Giuseppe Delmonte torna a ricordare ciò che non dovrebbe mai più accadere. Aveva 18 anni quando sua madre, Olga, fu uccisa dall’ex marito: un trauma che lo ha segnato a lungo e che ha scelto di trasformare in impegno pubblico, fondando Associazione Olga – Educare Contro Ogni Forma di Violenza. Il primo dicembre porterà al Teatro Ariston di Mantova "Non volevo le scarpe rosse", il format immersivo che apre un tour nazionale nelle scuole. In vista del debutto, Delmonte ha raccontato ad Affaritaliani.it la sua storia e il senso della sua battaglia. Perché, come ripete, "L’indifferenza uccide prima del femminicidio".
Mi racconti la sua esperienza
"La mia è la storia di un orfano di femminicidio. Avevo 19 anni quando mia madre è stata uccisa, dopo tredici anni di violenza assistita: violenze psicologiche continue, e solo in parte fisiche, perché i miei fratelli più grandi e mia madre cercavano di proteggermi. All’epoca non c’era nemmeno la parola “femminicidio” e noi orfani eravamo invisibili. Mi sono ritrovato da solo, senza tutele, senza una guida.
Per questo oggi mi batto perché situazioni come la mia non restino più nell’ombra: è vero che allora denunciare era difficile, le leggi non c’erano, ma tutti conoscevano quello che subivamo – dal medico di famiglia al prete, fino alle forze dell’ordine – e nessuno è intervenuto. Oggi quell’indifferenza non possiamo più permettercela: abbiamo strumenti che, se applicati davvero, possono salvare donne e figli. La mia battaglia nasce da questo".
C’è un messaggio che vorrebbe mandare a chi ha paura di intervenire quando vede violenza attorno a sé?
"Non restate a guardare. Le vittime non hanno bisogno di spettatori, ma di qualcuno che trovi il coraggio di parlare quando loro non possono farlo. Nel mio caso tutti sapevano – medico, prete, forze dell’ordine – e nessuno è intervenuto. Oggi non ci sono più alibi: abbiamo leggi, centri antiviolenza, strumenti concreti. Se usati davvero, possono salvare vite. Restare neutrali significa diventare parte del problema. Meglio un intervento in più che un funerale in più".
Qual è la cosa più urgente che lo Stato dovrebbe fare e che oggi non fa?
"La cosa più urgente sarebbe applicare davvero le leggi che abbiamo: la legge sullo stalking, il Codice Rosso, la Convenzione di Istanbul. Se venissero messe a regime, molte donne e molti bambini si salverebbero. Oggi la violenza assistita non è ancora riconosciuta dalla legge: è un buco nero enorme e intanto vediamo magistrati che affidano figli a padri violenti solo perché non sono stati fisicamente aggressivi con il bambino, dimenticando che la violenza psicologica fa gli stessi danni.
Ho portato la voce degli orfani in Parlamento e qualcosa si è mosso, ma serve il passo decisivo: normare davvero la violenza assistita. Non possiamo accettare orfani di serie A e orfani di serie B, a seconda del territorio".
Lei parla spesso di “cultura patriarcale”. Quando diventa violenza?
"Diventa violenza quando nasce l’idea del possesso: quando un uomo pensa di avere il diritto di controllare, dominare e decidere sulla vita di una donna. La cultura patriarcale la respiriamo fin da piccoli, senza accorgercene. Per questo con Olga abbiamo costruito percorsi formativi dalla scuola materna alle superiori: la prevenzione vera si fa lì. Bisogna insegnare ai bambini il rispetto, la parità, la fragilità come valore. Nessuno appartiene a nessuno, e nessuno ha il diritto di annullare un’altra persona".
Come nasce il progetto Olga?
"Olga nasce da un dolore personale trasformato in un impegno collettivo: educare contro ogni forma di violenza. Lo facciamo con la prevenzione nelle scuole, nelle aziende, nelle comunità educanti. E poi c’è la parte fondamentale per me: la tutela degli orfani di femminicidio, gli orfani speciali. Sto lavorando perché in Italia esista una cabina di regia nazionale che, quando avviene un femminicidio con minori, attivi subito psicologi, assistenti sociali, supporto economico e percorsi di protezione.
Oggi questo non accade, se non in pochi progetti che non raggiungono tutti. Non possiamo permettere che un bambino già segnato dal trauma venga lasciato solo. Olga nasce per dire che ogni orfano merita ascolto, protezione e futuro".
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