Altro che carrozzone: ecco tutti i numeri del successo della Zes

413 autorizzazioni in un anno, 6.885 richieste di credito d’imposta, 2,55 miliardi di investimenti agevolati che ne attivano 7, oltre 7mila nuovi posti di lavoro. E oggi il totale sfonda quota 28 miliardi di investimenti generati e 35mila occupati

di Rocco Smatti

Giosy Romano, avvocato amministrativista e Coordinatore della  Struttura di missione ZES

Economia

Altro che carrozzone: ecco tutti i numeri del successo della Zes

Qualcuno ha raccontato che le ZES fossero l’ennesimo carrozzone italiano, complicato, inconcludente, buono solo per conferenze stampa e slide ministeriali. Poi sono arrivati i numeri: veri, misurabili, difficili da aggirare perfino per gli scettici di professione.

L’Osservatorio CPI dell’Università Cattolica certifica che nel primo anno della ZES Unica sono stati rilasciati 413 provvedimenti, raccolte 6.885 richieste di credito d’imposta e movimentati 2,55 miliardi di investimenti agevolabili che hanno attivato un volume complessivo di 7 miliardi, generando più di 7mila nuovi occupati. E mentre il dibattito pubblico faticava a uscire dal cliché del “Sud assistito”, la macchina ZES continuava a macinare dati: oggi le autorizzazioni sfiorano quota 700, i crediti d’imposta concessi superano i 5 miliardi e gli investimenti attivati raggiungono i 28 miliardi, con oltre 35mila posti di lavoro creati. Numeri che rovesciano la narrazione e costringono a guardare alle ZES come a uno degli strumenti industriali più efficaci degli ultimi anni.

Il mercato, che non ha tempo per i pregiudizi, lo ha capito prima della politica. Tanto che la Legge di Bilancio 2026 ha prorogato il credito d’imposta ZES fino al 2028, riconoscendone l’efficacia e garantendo alle imprese quella certezza normativa senza la quale nessuno pianifica investimenti significativi.

Un segnale forte: se il perimetro funziona, si consolida. A dirlo non è un comunicato ministeriale, ma la semplice logica industriale. La misura – nata con il decreto-legge n. 124 del 2023 – è stata disegnata per agevolare le imprese che investono in beni strumentali nuovi all’interno della ZES del Mezzogiorno e comprende regioni come Campania, Puglia, Calabria, Sicilia, Sardegna, Molise, Basilicata e Abruzzo. I numeri stanziati sono importanti: circa 4 miliardi di euro complessivi per il triennio 2026-2028, con 2,3 miliardi nel 2026, 1 miliardo nel 2027 e 750 milioni nel 2028. 

Questa proroga non è un dettaglio tecnico: rappresenta certezza per le imprese, consentendo di pianificare investimenti su un arco temporale più lungo e con regole definite, fattore decisivo nei settori industriali, logistici e tecnologici dove i tempi di realizzazione non sono misurabili in mesi, ma in anni.

La verità è che la riforma del 2024, con l’unificazione delle otto ZES territoriali in un’unica struttura nazionale, ha finalmente eliminato la giungla di procedure e microfeudi locali che per decenni hanno frenato qualsiasi politica di sviluppo. Qui entra in gioco, senza idolatrie ma con un minimo di onestà intellettuale, il ruolo del commissario straordinario Giosy Romano.

Non un taumaturgo, non il protagonista di qualche agiografia da scrivere in ginocchio: semplicemente la figura che ha saputo tenere insieme i pezzi, spingere gli uffici, imporre tempi industriali a un apparato che viveva di inerzia amministrativa. Il suo contributo è stato preminente, perché senza una cabina di regia capace la ZES sarebbe rimasta l’ennesima sigla buona per i convegni.

E invece ha funzionato. Funziona ancora. E pone una domanda che nessuno può più eludere: se uno strumento così, con numeri così, con un impatto così evidente – dal PIL del Sud cresciuto del 7,1% rispetto al 5,1% del Nord e al 2,8% del Centro, lo certifica l’Osservatorio CPI – è in grado di rimettere in moto territori marginalizzati per decenni, perché dovrebbe restare confinato solo al Mezzogiorno? La risposta non arriverà da un comunicato stampa, ma dai prossimi mesi di attuazione e soprattutto dalla capacità del governo di capire che un Paese competitivo non può permettersi strumenti a metà.

Oggi la ZES non è più una scommessa: è un fatto. E in Italia, dove la politica industriale spesso evapora prima di arrivare alla prova dei risultati, non è poco. Ai detrattori resta un problema: quando parlano di “carrozzone”, ormai parlano di una cosa che non esiste più. I numeri hanno smontato il luogo comune. E difficilmente torneranno indietro.

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