Asset russi congelati, l'oro di Mosca vale 200 miliardi. Ora l'UE studia come usarli per sostenere l'Ucraina

Dopo l’invasione dell’Ucraina, l’Ue ha congelato oltre 200 miliardi di asset russi. Ora la Commissione, con il sostegno del cancelliere Merz, valuta come usarli per aiutare Kiev.

di Chiara Feleppa
Economia

Asset russi congelati, 200 miliardi in gioco: Merz spinge l’Ue a usarli per sostenere l’Ucraina

Oltre 200 miliardi di euro bloccati nei caveau europei, una guerra che continua e la necessità di finanziare la resistenza ucraina. È il nodo politico, giuridico ed economico che da due anni accompagna il tema degli asset russi congelati dall’Unione europea, una questione tornata al centro del dibattito dopo le dichiarazioni del cancelliere tedesco Friedrich Merz.

L’origine del blocco

Dopo l’invasione dell’Ucraina nel 2022, l’Ue ha immobilizzato una vasta quantità di attività finanziarie russe, in gran parte riconducibili alla Banca Centrale Russa. Parliamo di oltre 200 miliardi di euro custoditi soprattutto presso Euroclear, il colosso finanziario con sede a Bruxelles. Formalmente, Mosca resta proprietaria di questi beni, ma non può esercitare alcun diritto su di essi. Da allora, il dibattito su come utilizzare queste risorse si riaccende periodicamente, intrecciando temi di diritto internazionale, stabilità dei mercati e strategie geopolitiche.

In un intervento sul Financial Times, il cancelliere Merz ha espresso sostegno al progetto della Commissione europea per sfruttare gli asset congelati. La questione è approdata sul tavolo degli ambasciatori Ue e il leader tedesco ha annunciato l’intenzione di discuterne anche al Consiglio europeo informale di Copenaghen del 1° ottobre, per poi spingere a un mandato politico nel summit di fine mese.

Perché gli asset sono così difficili da usare

La confisca diretta dei beni russi presenta rischi enormi. In primo luogo, la violazione dell’immunità sovrana, principio cardine del diritto internazionale, secondo cui uno Stato non può appropriarsi dei beni di un altro. C'è poi un alto rischio di contenziosi, con Mosca che potrebbe reclamare danni e chiedere compensazioni, e un alto pericolo di ritorsioni:  altri Paesi potrebbero replicare misure simili, alimentando instabilità globale. Inoltre, se l’Ue aprisse la porta alla confisca di asset stranieri, potrebbe minare la fiducia degli investitori e dell’euro come valuta di riserva, minando la credibilità finanziaria europea. Non a caso, la Commissione ha recentemente respinto l’idea, avanzata da alcuni eurodeputati, di confiscare i 200 miliardi, giudicandola non praticabile e potenzialmente dannosa.

Ma, se confiscare gli asset è troppo rischioso, un uso “indiretto” potrebbe invece essere percorribile. Gli asset russi congelati, infatti, sono in gran parte liquidità depositata presso la BCE, che già oggi genera interessi utilizzati per coprire parte del prestito del G7 da 45 miliardi concesso all’Ucraina. La Commissione Ue starebbe pensando di emettere ad Euroclear un prestito a breve termine e senza interessi. In cambio, Bruxelles potrebbe accedere a circa 140 miliardi di euro della liquidità russa attualmente immobilizzata, da destinare al finanziamento dell’Ucraina. Il denaro verrebbe distribuito gradualmente, in diverse tranche, e impiegato sia per rafforzare la difesa europea sia per sostenere il bilancio di Kiev, oggi sotto forte pressione. L’Ucraina sarebbe chiamata a restituire le somme soltanto al termine del conflitto e dopo che la Russia avrà pagato le riparazioni di guerra. Solo in quel momento, a sua volta, l’Unione europea provvederebbe a rimborsare Euroclear. Per evitare che l’operazione sia percepita come confisca, il prestito sarebbe integralmente garantito dagli Stati membri.

La posizione di Merz: soldi sì, ma solo per la difesa

Una proposta appoggiata da Merz, ma con cautela. Per il cancelliere, il prestito Ue dovrebbe essere senza interessi e destinato solo agli aiuti militari per Kiev e il rimborso dovrebbe avvenire solo dopo che Mosca avrà risarcito l’Ucraina. Inoltre, le garanzie andrebbero inserite nel bilancio pluriennale europeo. Ma le sue posizioni non sono le uniche a pesare. Sul fondo pesa anche l’incertezza sulla politica statunitense: le posizioni di Donald Trump e, più in generale, il ridimensionamento dell’impegno americano, rendono ancora più urgente per l’Europa trovare nuove fonti di finanziamento per l’Ucraina.

Un altro ostacolo è politico. L’Ungheria di Viktor Orbán, storica alleata del Cremlino, potrebbe porre il veto su qualsiasi decisione relativa agli asset russi. Per questo la Commissione propone di cambiare le regole sul rinnovo delle sanzioni, passando dall’unanimità alla maggioranza qualificata, come consentito in casi specifici dall’articolo 31 del Trattato Ue. Anche la Slovacchia mostra freddezza, mentre il Belgio, che ospita Euroclear, teme ritorsioni dirette. Come ha dichiarato il premier Bart De Wever: “Prendere i soldi di Putin e lasciare i rischi a noi non accadrà”. Una posizione comunque lontana da quella di Budapest e Bratislava, dato che Bruxelles resta saldamente pro-Ucraina.

Intanto, da Mosca, il piano europeo viene bollato senza mezzi termini come un “furto”, con minacce di ritorsioni economiche e diplomatiche.

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