Balneari e taxisti, ecco a voi le nuove categorie protette dallo Stato

E’ una provocazione, ovviamente, ma che si basa su solide considerazioni

di Antonio Mastrapasqua

Taxi in coda

Economia

Balneari e taxisti, ecco a voi le nuove categorie protette dallo Stato

Le categorie protette in Italia erano quelle previste dalla legge 68/99, e comprendevano individui con disabilità e altre condizioni specifiche, garantendo loro diritti e opportunità nel mondo del lavoro. Da qualche anno a questa parte nelle “categorie protette” dovrebbero essere iscritti almeno due nuovi soggetti: balneari e taxisti.

E’ una provocazione, ovviamente, ma che si basa su solide considerazioni. Sarà la stagione estiva, ma la questione dei balneari riemerge, dopo che sembrava risolta, alla fine di un lungo e poco comprensibile braccio di ferro tra il Governo italiano e l’Europa (le cui regole ci piacciono a intermittenza), a favore della libera concorrenza per l’assegnazione delle concessioni balneari.

L’ultima proroga – senza gara – arriverà fino a settembre 2027. Poi dovrebbe essere libera concorrenza. Si attendeva un decreto attuativo per calcolare gli indennizzi per i concessionari uscenti che perderanno gli stabilimenti. Doveva essere pronto a marzo, ma si sa che i decreti attuativi amano farsi attendere. Ora è arrivato, ma con sorpresa, manco fossimo a Pasqua.

Potrebbe essere considerato l’ultimo regalo alla categoria tanto amata dalla politica (più dal centrodestra che dal centrosinistra, per la verità): il taglio del canone delle concessioni demaniali. Una riduzione fino al 50%. In parole povere vuol dire minori incassi per l’Erario. A prescindere dal fatturato (in chiaro o in nero) il canone definisce quanto il titolare della concessione deve pagare allo Stato per avere in gestione una porzione (preziosa: il litorale, in questo caso) di suolo pubblico.

Nel 2024, risulta che lo Stato abbia incassato appena 120 milioni di euro da oltre 24mila concessioni. Già poca roba, rispetto agli incassi dei gestori. Con le nuove tariffe, il gettito stimato calerebbe a 74 milioni, aggravando il gap tra entrate pubbliche e valore reale del bene pubblico concesso. Peraltro, i canoni erano già stati abbassati del 4,5% lo scorso anno, mentre la nuova normativa concordata tra Palazzo Chigi e l'Europa aveva previsto, inizialmente, una risalita del 10% della quota da versare all'Erario, non un altro sconto.

A prescindere dal ginepraio da cui forse usciremo allineati alla necessità di affidare la concessione di un bene pubblico a gare rigorose e trasparenti (speriamo), resta lo stupore di fronte a un arretramento dell’interesse pubblico. E’ vero che il mantra – non solo del Governo Meloni – è ridurre le tasse, ma l’auspicio dovrebbe essere rivolto a coloro che le tasse le pagano, non per coloro che non le pagano, o le pagano in maniera irrisoria, rispetto al loro giro d’affari reale.

Ed è qui che compare l’altra “categoria protetta” dalla politica, in questo caso di ogni colore. Parliamo dei taxisti. Nelle nostre città continua la scandalosa caccia al taxi: a Milano, come a Roma o a Bologna, chi arriva nelle stazioni ferroviarie è destinato ad attese paragonabili solo a quelle di chi ha richiesto un esame diagnostico. In fila, aspettando che le poche macchine con concessione, abbiano il tempo di smaltire il lavoro in corso.

Se questa è l’esperienza comune, vuol dire che – buon per loro – i taxisti hanno molto lavoro. Rimane la convinzione che ci sia bisogno di nuove concessioni, almeno in molte città, ma questo fa parte di un braccio di ferro – sempre vinto dai taxisti, contro tutte le amministrazioni comunali, di sinistra, di destra o di centro – che per oggi non affrontiamo.

Oggi ci limitiamo a scandalizzarci di fronte alle dichiarazioni dei redditi dei titolari di concessione di taxi. I redditi medi dichiarati dai tassisti italiani nel 2023 si attestano su 17.904 euro l’anno, cioè circa 1.490 euro al mese. Va meglio ai taxisti di Firenze che dichiarano un reddito medio di poco più di 24mila euro all’anno. Milano segue con un reddito medio di 22.551 euro. A Roma i redditi medi rimangono sotto i 16 mila euro annui, pari a circa 1.310 euro al mese.

C’è da chiedersi come possano vivere. Solo perché non abbiamo visto le dichiarazioni dei redditi dei taxisti di Napoli (mille euro al mese) o di Palermo (894 euro mensili). Meglio vendere i calzini alla stazione, o chiedere l’elemosina per strada.

Ancora una volta, quando si sente parlare della necessità di abbassare le tasse – a chi già le paga – ci aspetteremmo un analogo proclama: fare pagare a chi non le paga, o chi decide quanto pagare. E’ credibile che un taxista di Roma abbia un reddito (lordo, beninteso) di 1310 euro al mese, quando la licenza si compra e si vende per cifre con cinque zeri? Per ripagare una licenza occorrerebbero almeno cento mensilità, cioè circa 8 anni di lavoro senza guadagno.

Di fronte a questi dati – sia per i favori ai balneari, sia per l’incredulità prodotta dai redditi dichiarati dai taxisti – ci si potrebbe augurare una politica zelante per il bene comune: incassare tasse dove si può e si deve, con controlli ferrei e “antipatici”, ma giusti. Altrimenti è connivenza, doppiamente colpevole se perpetrata da chi assume responsabilità politiche e amministrative.

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