Bpm, Banca di Asti e Fondazione, dalla governance all'occupazione, dalle smentite ai nuovi timori: ecco che cosa c'è dietro
Banco Bpm, la volontà della Fondazione di diversificare gli investimenti e il dibattito sul futuro di Banca di Asti
Il dossier Bpm-Banca di Asti
Circolano voci insistenti su un possibile interesse di Banco Bpm per Banca di Asti, ma da Piazza Meda smentiscono ogni movimento. Secondo una fonte molto vicina al dossier, interpellata da Affaritaliani.it, non ci sono conferme di alcuna reale operazione. Lo stesso presidente di Banco Bpm, Massimo Tononi, ha smorzato le speculazioni dichiarando all’Ansa: "Ho visto tantissime ricostruzioni che sono fantasiose e che mi hanno lasciato anche abbastanza sconcertato, perché in taluni casi manca un fondamento realistico."
A smentire con decisione è stato anche Claudio Demartini, amministratore delegato di Banca di Asti: "Con riguardo alle indiscrezioni di stampa di questi giorni, smentisco fermamente che vi sia alcuna interlocuzione che coinvolga la banca su ipotesi di cessione della stessa o di parte di essa".
L’ipotesi non è nuova: già da mesi si parlava di un possibile rafforzamento della presenza di Piazza Meda in Banca di Asti, dove detiene già il 9,9% del capitale. Ora, l’istituto milanese potrebbe guardare con interesse al 31,8% oggi in mano alla Fondazione Cassa di Risparmio di Asti, arrivando così – se mai l’operazione dovesse concretizzarsi – a una posizione di controllo.
È proprio questa eventualità a far crescere la preoccupazione nel territorio: se la Fondazione cedesse una parte troppo ampia della propria partecipazione, Asti rischierebbe di perdere il controllo della "sua" banca, da sempre considerata un presidio economico e identitario della provincia.
Tuttavia, il presidente della Fondazione, Livio Negro, non ha mai negato la possibilità di ridurre la partecipazione, spiegando che la scelta è anche legata ai vincoli del nuovo protocollo Acri–Mef, che impone alle fondazioni bancarie di diversificare gli investimenti per evitare eccessive concentrazioni in un’unica partecipata.
Nel caso di Asti, infatti, circa l’80% del patrimonio della Fondazione è oggi investito nella banca conferitaria — una quota considerata troppo elevata. Negro ha comunque più volte rassicurato: “La vendita avverrà con criterio, per non svendere il territorio”, pur ribadendo che “non si può tenere tutto il patrimonio in un solo titolo”.
Il clima è comunque teso. C’è chi giudica imprudente la scelta della Fondazione di comunicare pubblicamente – e a mercati aperti – la volontà di cedere la propria quota. "La Fondazione ha tutto il diritto di vendere, ma c’è modo e modo", spiega una fonte vicina al dossier. "Un’uscita improvvisa, senza un percorso condiviso e senza esplorare prima opzioni locali, rischia di creare nervosismo e di influire anche sul valore del titolo":
Un altro nodo riguarda la valutazione della banca: il titolo oggi vale circa la metà del suo valore contabile. Se il valore patrimoniale per azione è intorno ai 16 euro, la quotazione in Borsa si aggira sugli 8,5. "Per chi compra, è uno sconto notevole", commenta la stessa fonte, "ma per il territorio potrebbe essere una perdita pesante: la banca è il primo datore di lavoro della provincia di Asti, con un impatto economico e sociale enorme. Se finisse nelle mani di un gruppo esterno, rischierebbe di scomparire come entità autonoma". Non mancano i paragoni: "La storia bancaria italiana è piena di esempi simili: la Cassa di Risparmio di Torino non esiste più, assorbita, scomparsa. Ecco perché prima di cercare compratori a Milano, sarebbe opportuno esplorare opzioni locali. Possibile che nessuna fondazione piemontese fosse interessata?".
Sul tema è intervenuto anche il deputato astigiano di Fratelli d’Italia, Marcello Coppo, che invita a non drammatizzare ma a mantenere alta l’attenzione. "Siamo davanti a una grande operazione mediatica, che ha dato per scontate cose che non sono mai state formalizzate. Per quanto ne so, non c’è nessuna proposta formale da parte di Banco Bpm. Anzi, per quanto mi risulta, non sono interessati. È legittimo porsi delle domande, ma a oggi non c’è nulla di concreto".
Coppo sottolinea che la Fondazione non sarebbe obbligata a vendere in modo rigido: "Il presidente Livio Negro ha spiegato che l’intenzione è quella di diversificare gli investimenti, come suggerito dal MEF. Ma questo principio non è rigido: esistono già fondazioni che stanno chiedendo deroghe o eccezioni, come previsto dalla legge Ciampi. Il governo è disponibile a valutare casi specifici, soprattutto quando si tratta di istituti bancari fortemente radicati nel territorio. La Fondazione non è obbligata a vendere: può valutare, chiedere, trattare. Un conto è vendere perché si è costretti, un conto è vendere per scelta. Anche il prezzo cambia".
Il deputato avverte poi sul rischio di sottovalutare gli effetti economici di un’eventuale cessione: "Se anche la Fondazione decidesse di vendere per cercare un rendimento un po’ più alto, diciamo 2 o 3 milioni in più all’anno, bisognerebbe comunque mettere sulla bilancia i costi sociali. Nella sede centrale lavorano almeno 500 persone, con stipendi che restano sul territorio, alimentando commercio, fornitori, servizi. Tutto questo verrebbe meno se la direzione si spostasse altrove".
Coppo si dice anche perplesso sulla tempistica: "La Fondazione ha affidato a Equita la valutazione della banca, e Equita ha confermato la solidità dell’istituto. Non capisco tutta questa fretta: sembra non siano state esplorate a fondo altre soluzioni".
Infine, un appello alla trasparenza: "La Fondazione ha il diritto di fare le proprie scelte, ma queste scelte devono essere ponderate, condivise e spiegate. Non si può parlare del futuro della banca senza coinvolgere chi ci lavora e chi vive sul territorio. Serve trasparenza e dialogo, si è fatto troppo rumore per nulla, forse. Ma attenzione: se perdiamo il controllo della nostra banca, non lo recupereremo più".