"Bce e asset russi congelati per Kiev? Ue ancora più spaccata. Altro che vittoria, l'Ucraina costretta ad accettare il piano di Trump"
Frenata dell'Eurotower: parla Giorgio Cella, analista per Fondazione Med-Or e autore di 'Storia e geopolitica della crisi ucraina. Dalla Rus' di Kiev a oggi'
Asset russi congelati, muro della Bce al prestito a Kiev: "Europa spaccata e ancora più marginale nel piano Trump"
La Bce gela Bruxelles: nessun sostegno al prestito da 140 miliardi per l’Ucraina basato sugli asset russi congelati, considerati finora una risorsa fondamentale del progetto europeo e un tassello chiave anche nelle trattative sul piano di pace di Trump. Come riporta il Financial Times, l’Eurotower ha giudicato la proposta "fuori dal proprio mandato" e quindi non praticabile, chiudendo così la porta a un'operazione che avrebbe permesso di mobilitare i beni russi bloccati presso Euroclear.
Questa presa di posizione, ovviamente, complica seriamente il lavoro della Commissione, ora in difficoltà nel capire come utilizzarli, sopratutto alla luce del fatto che gli Stati membri, in caso di emergenza, potrebbero non essere in grado di garantire rapidamente il denaro necessario, motivo per cui Bruxelles aveva chiesto alla Bce di intervenire come una sorta di "paracadute", fungendo da prestatore di ultima istanza.
Di questo scenario e delle sue implicazioni Affaritaliani ne ha parlato con Giorgio Cella, analista per Fondazione Med-Or e autore di 'Storia e geopolitica della crisi ucraina. Dalla Rus' di Kiev a oggi' (Carocci). "La decisione della Bce di non accettare il ceasing degli asset russi viene presentata come una risposta tecnica: non rientra nelle sue competenze e la metterebbe in una situazione di sgrammaticatura istituzionale rispetto al ruolo che storicamente ricopre", spiega l'esperto.
"Emerge così una nuova dimensione di indecisione su come agire, in termini macro, da parte dell’Unione Europea come attore geopolitico unitario. Purtroppo l’Ue non riesce mai a esprimersi in maniera compatta: non sul piano diplomatico, non su quello militare e ora neppure su quello economico-finanziario., nonostante Bruxelles abbia assistito l'Ucraina tutto sommato con una certa coesione in questi quattro anni di conflitto. Questo crea un’ulteriore fragilità in un momento di enorme delicatezza, sia per l’Ucraina sia per l’Europa, che dall'impostazione che si evince dai 28 punti del peace plan di Trump risulta già abbastanza marginalizzata, o quantomeno non considerata come Bruxelles avrebbe desiderato".
Secondo Cella, la frammentazione interna dell’Ue è anche una questione di ruoli e responsabilità: "Rimane sullo sfondo un’inerente divisione interna, fatta anche di protagonismi europei. L’Ue, come la Nato, è composta da Stati sovrani, e questo crea difficoltà molto concrete su chi dovrebbe esercitare, in pratica, una forza di protezione europea. Il problema atavico rimane, e riemerge ciclicamente."
E infatti, prosegue l’analista, questa incertezza si riflette direttamente sulle capacità ucraine di resistere: "Anche questa ulteriore incertezza su come utilizzare gli asset russi, che implica considerazioni giuridiche complesse, non porta acqua al mulino dell’Ucraina: già sottoposta a forti pressioni militari nel Donbass e a pressioni politico-diplomatiche dell’amministrazione Trump, che vuole condurla a una ricomposizione del conflitto con punti per certi versi imposti dagli Stati Uniti e, per alcuni aspetti, non contrari alle volontà di Mosca".
Alla domanda su cosa aspettarsi ora, alla luce del piano di Trump e del congelamento degli asset, Cella non usa giri di parole: "Dopo il peace plan, si va verso una situazione in cui la realpolitik degli Stati Uniti di Trump sembra destinata a spingere l’Ucraina verso l’accettazione di questi punti: Kiev, a questo punto, arriva stremata su vari fronti. E pesa molto anche il fronte interno, scivoloso, aperto dall’indagine dell’Agenzia anticorruzione contro l’esecutivo Zelensky, che ha portato alle dimissioni di Andryi Yermak, potente braccio destro del presidente".
"Sembra una tempesta perfetta per l’Ucraina", aggiunge. "E l’Europa, comprensibilmente, vuole farsi sentire anche in termini di deterrenza militare, muovendosi dentro questo equilibrio delicatissimo e pensando al futuro post-guerra, quando dovrà accogliere l’Ucraina".
Infine, sulle parole del comandante supremo della Nato Giuseppe Cavo Dragone, che al Financial Times ha parlato di un atteggiamento più aggressivo per contrastare la guerra ibrida della Russia, Cella nota: "Cavo Dragone ha voluto alzare la posta in gioco in termini di percezione, anche psicologica, aumentando la pressione sulla Russia. Vedremo quanto questa posizione assertiva verrà confermata nei prossimi giorni, ma il timone delle future negoziazioni sull’Ucraina rimane evidentemente nelle mani degli Stati Uniti e delle intese che riusciranno a imporre, e a coordinare, con l’esecutivo di Zelensky".