Brand o brand...elli / Dalle mani delle sarte di famiglia ai campi sportivi: la storia di Erreà, il brand Made in Italy che veste le leggende del mondo
Dal 1988, da un piccolo laboratorio artigianale in provincia di Parma a uno stabilimento internazionale: Erreà ha rivoluzionato l’abbigliamento sportivo italiano, vestendo oltre 400 club nel mondo. La storia
La storia di Erreà
C’era una volta un assicuratore con la passione per il calcio. Non è l’inizio di una favola, ma di una storia vera, tutta italiana, fatta di testardaggine, passione e fili di poliestere. Alla fine degli anni Ottanta, a Colorno, nel cuore della provincia parmense, Angelo Gandolfi si stava costruendo una vita tra polizze e partite della domenica. Difensore fino a poco prima, dirigente sportivo di una squadra di Serie D poi, ma con un chiodo fisso in testa: lasciare il segno. Nel calcio, certo, ma a modo suo.
Quel segno si sarebbe presto cucito addosso a generazioni di atleti: perché nel 1988 nasce Erreà Sport. Tutto comincia da un’intuizione: le maglie da calcio in Italia erano fatte di acrilico o lana, tessuti rigidi, caldi, inadatti al gioco. In Inghilterra, invece, il Liverpool cominciava a sfoggiare il triacetato, un filato tecnico lavorato su macchine "indemagliabili", più leggere e performanti. Lì, scatta la scintilla.
A pochi chilometri da casa, a Noceto, un gallese, David Williams, allenatore di rugby, importava in Italia magliette Umbro. Gandolfi ne acquista alcune per il Colorno, e grazie all’abilità sartoriale delle parenti della moglie, mette in piedi un minuscolo laboratorio artigianale. n quel momento non immagina (ancora) che sta piantando le radici di un progetto destinato a durare più di trent’anni.
Il battesimo del fuoco avviene con il Genoa. Riccardo Sogliano, d.s. del Grifone, gli chiede di realizzare le maglie per la squadra. Serie B, anno 1989. Subito promozione in A. Da lì, 17 anni di collaborazione. Nel mezzo, una notte diventata leggenda: il Genoa di Bagnoli che vince ad Anfield, casa di quel Liverpool da cui tutto era partito. Il nome Erreà, non è certo casuale, ma un acronimo affettivo e mette insieme le iniziali dei figli Roberto e Annalisa, ma anche quelle di Angelo e Rosanna, i due fondatori. Un gioco di lettere, ma anche una dichiarazione d’identità familiare che resta impressa nel Dna dell’azienda.
Oggi Erreà è molto più di un produttore di abbigliamento sportivo. Dal running al basket, dal training funzionale al calcio, è una realtà internazionale, con uno stabilimento di 15.000 metri quadri a San Polo di Torrile e clienti in tutto il mondo. È sponsor tecnico di oltre 400 club professionistici, veste le nazionali italiane di pallavolo e ha partner ovunque, dall’Italia alla Premier League. Ma non è mai diventata un colosso senz’anima: la forza sta nella filiera corta, tutta interna, e in una cura quasi artigianale per ogni dettaglio. Non si limita a vendere maglie, ma accompagna le squadre nel percorso, le ascolta, le plasma.
E forse proprio per rispondere alle esigenze sempre più tecniche degli atleti, Erreà ha lanciato la linea 3D Wear: intimo sportivo progettato per chi cerca performance anche nei dettagli invisibili. La punta di diamante è Active Tense, un capo con una scheletratura elastica in resina, un piccolo esoscheletro capace di migliorare la stabilità articolare e la funzione muscolare. Non a caso, tutta la linea è certificata Oeko-Tex Standard 100, garanzia che nessuna sostanza nociva tocchi la pelle o le mani di chi produce quei capi.
Dopo decenni di storia, Erreà non si limita solo celebrare il proprio passato, ma guarda dritta al futuro. Proprio per questo, l’azienda ha lanciato la campagna “Sport Plays Green”, un impegno per la sostenibilità ambientale, puntando su materiali riciclati e processi a basso impatto. Non basta. Il brand continua anche a consolidare la propria presenza internazionale con diversi accordi. L’ultimo? Una partnership con il Club Deportivo Castellón, squadra spagnola che punta a tornare protagonista, vestita da Erreà.
Insomma a oltre trent’anni dalla prima maglia, Erreà è ancora la stessa azienda familiare con la testa bassa e la visione alta, che partendo dai campi polverosi ha vestito palazzetti, stadi e arene in tutto il mondo. E che, anche quando guarda lontano, non dimentica mai da dove è partita.