Dietro il risiko bancario, i retroscena del collocamento Mps
Un’inchiesta di Giorgio Mottola ricostruisce legami e operazioni che riaccendono i fari sul Montepaschi e sul discusso tentativo di scalata a Mediobanca
I retroscena del collocamento Mps
Mentre il risiko bancario si consuma tra Roma e Milano, Report accende i riflettori su passaggi finora poco discussi e poco chiari che riguardano uno dei principali protagonisti di questi mesi: il Monte dei Paschi di Siena. Dietro la scalata lanciata su Mediobanca, secondo quanto ricostruito dal giornalista Giorgio Mottola, non ci sarebbe solo la volontà dell’amministratore delegato Luigi Lovaglio, che ha dichiarato di aver pensato all’operazione già nel 2022 (quando la banca aveva appena portato in porto con grande difficoltà l’ultimo dei tanti aumenti di capitale che ha richiesto la banca senese negli ultimi 10 anni), ma anche la volontà del Governo di mettere le mani su Assicurazioni Generali, assecondando gli appetiti di Caltagirone e Delfin, entrambi azionisti sia di MPS che di Mediobanca che di Generali.
L’inchiesta andata in onda ieri sera su Rai 3 ricostruisce un intreccio di relazioni e interessi politici che rimanderebbero a un obiettivo più ampio: provare a rafforzare l’influenza del governo sul polo Assicurazioni Generali, cuore del risparmio italiano. Tutto avrebbe inizio con la crescita degli utili del settore bancario che la salita dei tassi di interesse ha propiziato in maniera evidente negli ultimi anni gonfiando gli utili di quelle banche che, come MPS, sono più sensibili all’andamento dei tassi di interesse.
Tra gli istituti tornati protagonisti c’è infatti proprio Montepaschi. Nel 2024 l’istituto senese ha registrato ricavi per 4 miliardi, di cui 2,3 miliardi provenienti dai margini di interesse, proprio quelli che sono finiti nel mirino delle polemiche poiché generati da una situazione contingente. Un risultato rilevante per un istituto reduce da una storia turbolenta: dall’acquisizione di Antonveneta del 2008 al crac da 27 miliardi che culmina nel salvataggio pubblico del 2017, con il MEF che assume il controllo della banca utilizzando a questo scopo 7,5 miliardi di euro dei contribuenti italiani.
Tra i passaggi chiave di questa rinascita evidenziati da Mottola però ci sarebbe proprio il tema del controllo. Il governo ha infatti con il passare del tempo ha iniziato a cedere le proprie azioni per ottemperare agli impegni presi con l’Antitrust europeo in relazione all’autorizzazione al salvataggio con soldi pubblici, ma qualcosa non torna nell’ultima asta del Tesoro per la cessione di azioni Mps andata in scena lo scorso novembre.
In quell’operazione, infatti, a gestire la partita è stata Banca Akros — controllata di Banco BPM — che avrebbe facilitato l’ingresso di soggetti oggi protagonisti anche dell’assalto a Piazzetta Cuccia: Caltagirone (3.6%), Bpm (5%), Anima (4%) e Delfin (3.5%). Una cordata che, insieme, avrebbe acquisito in modo anomalo (in questo genere di aste le azioni vengono collocate di prassi a decidine di investitori ha sottolineato Mottola) una quota significativa della banca senese e che ha tagliato fuori dall’operazione il resto del mercato.
Il risultato è stato ovviamente quello di avere una percentuale di controllo che, se fosse stata costruita sul mercato, sarebbe costata probabilmente di più (come affermato dall’ex commissario Consob Luca Enriques nel corso della puntata).
A supportare questa ricostruzione di Report è anche un articolo del Financial Times che riporta la circostanza per cui Unicredit, che avrebbe voluto avanzare un ordine, non avrebbe avuto risposta alcuna da Banca Akros in merito a tale richiesta di partecipazione al collocamento. Questa strategia, concordata con il Governo secondo la ricostruzione di Report fin da settembre, nascerebbe dall’impossibilità per Caltagirone e Delfin, in quanto soggetti industriali, di acquisire il controllo di una banca vigilata dalla BCE in quanto sprovvisti di licenza bancaria.
L’operazione, dunque, altro non sarebbe stata che un modo per ottemperare fittiziamente agli obblighi di discesa del MEF nel capitale di Mediobanca sotto la quota del 20% da un lato e di aggirare l’ostacolo BCE per Caltagirone e Delfin dall’altro. Entrare con una quota di azioni di controllo in MPS per poi lanciarla alla conquista di Mediobanca, racconta l’inchiesta, permetterebbe infatti a Caltagirone e Delfin di acquisire il controllo di Piazzetta Cuccia che, viceversa, il divieto della BCE rende oggi di fatto impossibile.
Operazione che i due gruppi industriali rincorrono da molto tempo con risultati a dir poco deludenti per via del solido sostegno garantito dal mercato al management di Mediobanca. Ecco quindi che oggi Mps, un tempo simbolo della fragilità del sistema, torna al centro della scena in maniera sinistramente simile al modo con il quale nel 2008 fu lanciata alla conquista di Antonveneta quando entrò nel tunnel che l’avrebbe portata al fallimento e alla nazionalizzazione. Operazioni complesse effettuate in coordinamento con Palazzo Chigi, anche così si gioca oggi la nuova partita per il controllo della finanza italiana. Bruxelles e Francoforte permettendo.