Dividendi Generali, Donnet conviene più a Caltagirone

​​​​​​​Lo scontro sulla governance fra Mediobanca e l'ingegnere romano. Perché i soci forti del Leone non amano l'attuale Ceo?

di Marco Scotti
Economia
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Non sarà sfuggito agli appassionati dei salotti finanziari l’editoriale di qualche giorno fa di Giulio Sapelli sul Messaggero. Un articolo in cui a un certo punto si dice che “a forza di fortificare l’obiettivo della trasparenza, si sono avallate costruzioni giuridiche che rischiano di svuotare il ruolo dell’azionista, accordando al manager un potere tale che è poi difficile smontare”. Nell’articolo non si fanno esempi su quali siano queste società, anche se è fin troppo facile capire di chi si sta parlando.


 

L’editoriale è, ovviamente, un chiaro riferimento alle Generali guidate da Philippe Donnet che, nonostante una guerra di logoramento che dura ormai da almeno un anno, rimane saldamente al suo posto. L’articolo di Sapelli, che per la testata su cui è stato pubblicato non può che rispecchiare (anche) il pensiero di Francesco Gaetano Caltagirone che del Messaggero è editore ed è anche il secondo azionista privato del Leone in cui reclama una discontinuità gestionale, apre però un punto molto importante, quello della governance.

Generali, così come altre aziende quotate, ha adottato un sistema per cui il cda uscente dev’essere espressione di maggioranza anche del successivo consiglio di amministrazione. I nomi che compongono il cda del Leone sono di altissimo profilo, ma già in altre occasioni si è visto come consigli composti da persone poi giudicate non idonee dagli organi di vigilanza fossero chiamati a comporre il nuovo board. Una stortura italiana.


 

Dunque è comprensibile che Caltagirone, che è appena salito al 6% del Leone e che vorrebbe per sé un maggiore potere decisionale, sia insoddisfatto di una lista (che in molti chiamano di Mediobanca) che vedrebbe la riconferma in blocco sia dell’attuale orientamento politico, sia con ogni probabilità anche del group Ceo Philippe Donnet. Caltagirone, e con lui Del Vecchio e i Benetton, ma anche la Fondazione Crt, vorrebbero sicuramente maggiore visibilità, così come il patron di Essilor-Luxottica vorrebbe essere più “presente” nelle decisioni di Mediobanca.

Al momento – come raccontato su Affaritaliani.it – si fa sempre più plausibile uno scenario che porta dritto all’ingovernabilità, con “la lista Mediobanca” a farla da padrone, ma con Caltagirone pronto a lanciare il proprio ticket. Il rischio stallo è altissimo e a nessuno farebbe piacere se queste dinamiche dovessero ripercuotersi sul business.


 

Non è un mistero che Alberto Nagel sia favorevole a un nuovo mandato del manager francese, già Ceo di Generali Italia ai tempi della gestione Mario Greco. E non è neanche un mistero che i fondi che hanno in portafoglio oltre il 40% delle azioni del Leone facciano davvero fatica a comprendere l’ostracismo verso Donnet. D’altronde, come dar loro torto?

Si guardano nelle tasche alla fine dell’anno, vedono rendimenti interessanti e hanno tutto l’interesse a proseguire con l’attuale situazione.

(Segue: l'analisi del business degli azionisti)

Nel periodo 2006-2021 Mediobanca ha realizzato una plusvalenza di quasi due miliardi con la partecipazione nel Leone: nel 2006, infatti, Piazzetta Cuccia aveva una quota superiore al 14% che veniva iscritta a bilancio per 1,85 miliardi. Oggi il 12,97% viene valutato 3,7. Caltagirone, nel frattempo, ha realizzato una plusvalenza di circa 500 milioni.

E che dire dei dividendi ottenuti da Generali? Tra il 2009 e il 2019 (ultimo anno di dividendi pieni prima della crisi da Covid) Mediobanca ha ricevuto oltre 1,1 miliardi di euro per la sua partecipazione nel Leone. Per dare un’idea, nel 2019 Mediobanca ha ricevuto oltre 180 milioni mentre Piazzetta Cuccia ha registrato un utile di 860 milioni. Caltagirone, da quando è entrato con una quota superiore al 2% in Generali, cioè dopo il 2009, ha ottenuto complessivamente oltre 310 milioni di dividendi se si ferma l’analisi al bilancio 2019, ultimo pre-pandemico. Di questi, oltre 200 sono arrivati  dal 2016, ovvero dal momento in cui Philippe Donnet è diventato amministratore delegato del Leone. Nel 2019, la Caltagirone ha chiuso il bilancio con un utile di oltre 80 milioni, di cui più di  70 provenienti da Generali.


 

Nei quattro esercizi completi sotto la gestione del manager francese (dal 2016 al 2020), gli azionisti hanno ricevuto complessivamente 7,8 miliardi di dividendi, con una cedola per stock che è andata (in crescendo) da 0,8 nel 2016 a 1,47 nel 2020. E non basta, perché sotto la gestione Donnet (che ha centrato i target di due piani industriali) il valore del titolo è aumentato di quasi il 50%.

Dunque ritorna la domanda: perché Caltagirone (ma anche Del Vecchio e Benetton, seppur in posizione più defilata) ha così poco apprezzato la gestione del manager francese? Non sono in molti a conoscere la risposta corretta. Quello che si sa per certo è che l’ingegnere siede nel cda dal 2007, così come Del Vecchio (il quale è poi uscito) e soltanto dalla fine del 2009 ha iniziato ad avere quote rilevanti del Leone. In quel periodo, a causa della crisi economico-finanziaria che iniziava a farsi sentire sui mercati, le azioni di Generali erano passate dai 30 euro della fine del 2007 agli 11,39 di marzo 2009.

E Caltagirone, liquido e aduso ai meccanismi di Borsa, aveva iniziato a rastrellare azioni proprio nel momento in cui il titolo era meno brillante. Per intenderci, Del Vecchio – che tra i due è stato il primo a comprare azioni del Leone – le aveva in carico a 27 euro per azione tanto che tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012 acquista l’1,87% del Leone (29,07 milioni di azioni) a 13 euro, con un esborso di 378 milioni.

Ma questo discorso di svalutazioni in bilancio non tocca Caltagirone, che ha iniziato a comprare nel periodo più nero. Le tappe successive sono la scalata al 3,56% all’inizio del 2017 (sempre con valori azionari inferiori a quelli attuali) e poi, negli ultimi due anni per arrivare a flirtare con il 6%. E ancora una volta il valore delle azioni è simile a quello di oggi.

Negli ambienti romani Caltagirone è conosciuto per essere un uomo estremamente determinato, pronto a portare a termine gli obiettivi (ambiziosi) che si pone. Ma forse, questa volta, il desiderio di un rimpasto ai vertici del Leone risulta davvero difficile da capire. Che cosa succederà? Ci sono sostanzialmente tre strade: la prima è quella di una pax all’insegna di Mediobanca, con un cda vicino a quello uscente e la conferma di Donnet; la seconda è quella più oltranzista: viene chiesta la testa dell’attuale amministratore delegato e si chiede un board più vicino alle esigenze degli azionisti di peso.

La terza è una via di mezzo: una governance più vicina a quella uscente, con però l’addio a Philippe Donnet o, al contrario, la conferma del group Ceo con un cda che tenga maggiormente conto delle istanze di Caltagirone e degli altri. Dallo stallo in stile Vietnam avrebbero da perdere tutti, visto che i soci del Leone hanno monetizzato molto in questi anni, realizzando plusvalenze notevoli e incassando dividendi perfino negli anni più complessi per l’economia italiana.