Entrate tributarie e spesa pubblica, la Cgia denuncia lo squilibrio: "Lo Stato trattiene l’86% delle tasse"

Il Nord contribuisce più di quanto riceve, il Sud riceve più di quanto versa allo Stato

di Elisa Mancini
Economia

Cgia, "Regioni e Comuni gestiscono metà della spesa pubblica, ma lo Stato incassa l’86% delle tasse"

La quasi totalità delle tasse pagate dagli italiani (86%) finisce nelle casse dello Stato centrale, solo poco più della metà della spesa pubblica è in capo sempre a quest’ultimo soggetto. Pertanto, tra questi due livelli di governo vi è una sperequazione tra la distribuzione delle entrate tributarie e della spesa pubblica "molto preoccupante". A dirlo è l’Ufficio studi della Cgia.

Nel 2023 il gettito tributario complessivo è stato pari a 613,1 miliardi di euro, di questi, 529,4 miliardi (86%) sono stati incassati dallo Stato centrale; gli altri 83,7 (14%) sono finiti nelle casse delle Regioni e degli enti locali. Per contro, la spesa pubblica, al netto delle uscite previdenziali e degli interessi sul debito pubblico, ha sfiorato i 644 miliardi. Di questo importo, 362 miliardi (56%) sono stati spesi dallo Stato centrale, i rimanenti 281 (44%) sono usciti dalle casse delle Regioni e degli enti locali.

Ciò implica che "la capacità finanziaria di Regioni e Comuni dipende dai trasferimenti statali, spesso vincolati dall’andamento della spesa storica e dalla capacità delle amministrazioni locali di 'negoziare' tali risorse con **Roma'", commenta la Cgia.

Tra le entrate tributarie in capo allo Stato e alle amministrazioni centrali la più onerosa per le tasche dei contribuenti è l’Irpef che, al lordo delle detrazioni e degli oneri deducibili, è costata agli italiani 208,4 miliardi. Segue l’Iva con 140 miliardi e l’Ires con 49,7 miliardi. Per le Regioni le voci in entrata più importanti sono l’Irap con 28,9 miliardi; l’addizionale regionale Irpef con 13,5 e il bollo auto con quasi 6,6 miliardi. Le Province, invece, possono beneficiare del gettito dell’imposta sulla Rc auto che ammonta a 2,1 miliardi e il Pra con 1,7. I Comuni, infine possono contare sulle entrate dall’Imu con 18,6 miliardi; sull’addizionale comunale Irpef con 5,7 mld e sui contributi riscossi dalle concessioni edilizie con 1,7 mld.

In tema di residuo fiscale, al netto delle Regioni a Statuto speciale, dagli ultimi dati disponibili (2019) della Banca d'Italia emerge che nel rapporto dare-avere tra lo Stato centrale e le regioni, tutte le altre aree del Nord, ad eccezione della Liguria, presentano nelle ipotesi elaborate un valore negativo e cioè spendono meno delle entrate che si generano su quel territorio, indicando che la totalità delle regioni ordinarie del Nord (esclusa la Liguria) 'devolvono' in solidarietà agli altri territori e al bilancio pubblico più di quanto ricevono dallo Stato centrale. Considerando le ipotesi elaborate dalla Banca d’Italia, se prendiamo in esame solo quella meno 'penalizzante' per le regioni settentrionali emerge che, nel 2019, ciascun abitante di Veneto e Lombardia - vale a dire le due Regioni che più delle altre stanno chiedendo con forza il decollo della riforma sull’autonomia differenziata - ha alimentato le casse pubbliche e il resto del Paese rispettivamente con 2.680 e 5.090 euro.

Secondo l’Ufficio studi della Cgia, l’esistenza di un residuo fiscale eccessivamente negativo costituisce una delle motivazioni alla base della richiesta di autonomia differenziata delle due Amministrazioni regionali richiamate più sopra. Anche se con sfaccettature diverse, tutte, comunque, sono in linea di principio consapevoli che il centralismo statale abbia accentuato le disparità tra i territori.

Le regioni del Mezzogiorno, invece, presentano, tutte un risultato positivo e cioè i flussi finanziari che ricevono dallo Stato centrale sono superiori alle risorse fiscali che versano allo stesso. La Campania, ad esempio, sempre nel 2019 ha registrato un 'saldo' pro capite pari a +1.380 euro, la Puglia +2.440, la Sicilia +2.989 e la Calabria +3.085 euro. "Sia chiaro: questo è normale. Da sempre registriamo forti trasferimenti dal Nord al Sud. Tutto ciò, in linea di massima, non è dovuto ad una eccessiva spesa presente nel Sud, ma al fatto che i redditi nel Mezzogiorno sono più bassi e quindi sono più basse le tasse e i contributi versati dai residenti di questa ripartizione geografica", spiega la Cgia.

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