Famiglie e risparmiatori si "rifugiano" nei titoli di Stato: raddoppiata la quota di debito pubblico in mano agli italiani
Dal 7,9% del 2021 al 14,4% con 442 miliardi di euro. I fondi stranieri sfiorano il 34%, record negli ultimi sei anni
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Italiani sempre più “Bot people”, raddoppiata la quota di debito pubblico in mano alle famiglie
Le famiglie e le imprese tornano protagoniste nell’acquisto di Bot e Btp. Ad agosto 2025 detenevano 442,4 miliardi di euro di debito pubblico italiano, pari al 14,4% del totale di 3.081 miliardi (3.080,9 a settembre), quasi il doppio rispetto al minimo del 7,9% registrato nel 2021. È l’effetto combinato dei rendimenti elevati, del successo dei Btp dedicati al retail e di una crescente preferenza per strumenti considerati sicuri. Il Btp valore, in particolare, è stato collocato, nelle varie emissioni dal 2023, per un ammontare pari a 93 miliardi.
A crescere con forza è anche la presenza degli investitori esteri, che salgono a 1.039,9 miliardi, il 33,8% del totale (record negli ultimi sei anni), in rialzo rispetto al 26,8% del 2022 e ai massimi dell’ultimo decennio. La domanda internazionale torna quindi a essere uno dei pilastri principali del mercato del debito sovrano italiano. In controtendenza, la Banca d’Italia, che opera per l’Eurosistema, riduce l’esposizione dai 721 miliardi del 2022 ai 592,1 miliardi del 2025, con la quota che scende dal 26,1% al 19,2%, per effetto della fine degli acquisti netti Bce. Leggermente in calo anche fondi e assicurazioni, oggi al 12,5% (386,3 miliardi), contro il 15,8% del 2019.
Nel complesso, il debito pubblico italiano cresce da 2.415,6 miliardi del 2019 a 3.080,9 miliardi nel 2025. Le banche italiane continuano ad avere “in pancia” oltre 620 miliardi di Bot e Btp, un valore sostanzialmente stabile negli ultimi anni. Nel 2024 e nel 2025 la dinamica si è ridimensionata, in termini assoluti, al livello più basso del periodo osservato: 601,4 miliardi pari al 21,7% del totale.
Il peso del settore creditizio sul totale del debito pubblico è sceso in modo netto: dal 26% del periodo pre-pandemico al 20% del 2025. Una quota in calo, dovuta non a un disimpegno delle banche, ma alla crescita del debito complessivo e al maggiore ruolo di esteri oltre che di famiglie e imprese. Complessivamente, dal 2019 a oggi il debito pubblico del Paese è cresciuto di 665 miliardi, pari a un incremento del 27,5%.
Come è cambiata la mappa dei sottoscrittori di Bot e Btp dal 2019 a oggi
Ad agosto e settembre 2025 il debito pubblico italiano si è attestato a 3.081 miliardi di euro. Ma la crescita dell’ammontare complessivo non è l’unico elemento rilevante: a cambiare in profondità, tra il 2019 e il 2025, è soprattutto la distribuzione tra i diversi detentori, una mappa che oggi appare molto più articolata rispetto a quella dell’ultimo anno pre-pandemico e anche rispetto alla fase centrale dell’emergenza sanitaria.
Nella fotografia più completa, quella dell’agosto 2025, gli investitori esteri restano — come in tutto il periodo — i principali sottoscrittori dei titoli di Stato italiani. Detengono 1.039,9 miliardi, pari al 33,8% del totale, una quota più alta di quella registrata sia nel 2021 sia nel 2019. Seguono la Banca d’Italia, con 592,1 miliardi e una quota del 19,2%, e le banche italiane, che hanno in portafoglio 620,5 miliardi, pari al 20,1% del debito.
Più distanziati i fondi e le assicurazioni, che si attestano a 386,4 miliardi (12,5%). Il dato più interessante riguarda però le famiglie e le imprese, la cui esposizione sale a 442,4 miliardi, raggiungendo una quota del 14,4%, la più alta dell’intero periodo e quasi il doppio rispetto al minimo segnato nel 2021. Complessivamente, dal 2019 a oggi il debito pubblico del Paese è cresciuto di 665 miliardi, pari a un incremento del 27,5%.
Il confronto con dicembre 2021 mette in luce la trasformazione avvenuta negli ultimi tre anni. All’epoca il debito pubblico era fermo a 2.686,6 miliardi, quasi 400 miliardi meno di oggi. Gli investitori esteri, pur rimanendo il primo gruppo, avevano una quota pari al 29,2% e un’esposizione inferiore di oltre 250 miliardi rispetto ai livelli attuali. La Banca d’Italia era molto più presente, con 676,7 miliardi e una quota del 25,2%, grazie ai programmi varati dall’Eurosistema negli anni della pandemia. Le banche italiane avevano un peso più rilevante, pari al 24,5%, contro il 20,1% odierno; mentre fondi e assicurazioni incidevano per il 13,1%.
Le famiglie e le imprese, invece, erano al minimo storico: appena 212,2 miliardi, pari al 7,9%, un valore che rende ancora più evidente l’inversione di tendenza del 2025. Rispetto a dicembre 2019, il quadro si modifica ulteriormente. Sei anni fa il debito pubblico totale era pari a 2.415,6 miliardi, dunque 665 miliardi meno dell’attuale. Gli investitori esteri detenevano 773,6 miliardi, con una quota del 32%, quindi leggermente inferiore a quella del 2025 ma comunque dominante.
Le banche erano il secondo gruppo per esposizione, con 625,3 miliardi, pari al 25,9% del totale: una quota che si è progressivamente ridotta nel tempo, pur in presenza di valori assoluti sostanzialmente stabili. La Banca d’Italia aveva un ruolo più contenuto rispetto al biennio pandemico, detenendo 405,5 miliardi e il 16,8% del debito; una quota destinata a crescere sensibilmente fino al picco del 2022 per poi ridursi nella fase di normalizzazione successiva. Fondi e assicurazioni erano poco sotto ai livelli attuali, con 381,4 miliardi e una quota del 15,8%, e dunque mostrano una dinamica piuttosto piatta nel corso degli anni. Cittadini e aziende, invece, detenevano 229,8 miliardi, pari al 9,5% del debito, un valore già inferiore a quelli degli anni Duemila ma comunque più alto rispetto al crollo del 2021.
Sileoni: "Le famiglie premiano la fiducia nel Paese, le banche sono pilastro della stabilità finanziaria"
"Le famiglie italiane stanno tornando a investire nei titoli di Stato e lo fanno perché hanno fiducia. Fiducia nel Paese, fiducia nella sua tenuta sociale e politica, fiducia nella capacità dell’Italia di attraversare una fase internazionale complicata con più solidità rispetto ad altri grandi partner europei. Questo dato non nasce per caso: le famiglie non mettono i loro risparmi nei Btp se non percepiscono stabilità, continuità e una prospettiva credibile. Allo stesso tempo, il ruolo delle banche rimane fondamentale: pur con una quota relativa in calo continuano a garantire oltre 620 miliardi di debito nei propri portafogli.
Una presenza massiccia, strutturale, che testimonia ancora una volta quanto il settore bancario sia un pilastro della stabilità finanziaria del Paese. Le banche fanno la loro parte, in modo responsabile, come sempre: in piena pandemia, quando sono state un argine, anche grazie alle lavoratrici e ai lavoratori bancari; oggi, con un approccio prudente, ma senza sottrarsi al proprio dovere. Poi c’è il capitolo degli investitori esteri, che sono tornati con forza e oggi rappresentano più di un terzo del nostro debito pubblico. È un segnale politico, prima ancora che economico.
Con l’Europa attraversata da tensioni elettorali, instabilità istituzionale e crescita debole — basti guardare cosa sta accadendo in Francia e Germania — l’Italia è percepita come un porto più sicuro, un mercato più affidabile, un Paese che garantisce maggiore continuità. È proprio qui che si vede la differenza: famiglie, banche e investitori internazionali mostrano tre dinamiche diverse, ma tutte convergono su un punto. L’Italia è oggi considerata più stabile e più credibile di altri grandi Paesi europei. È questa la vera chiave politica dei dati", commenta il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni.
Banche italiane e titoli di Stato: 5 anni di cambiamenti. “In pancia” oltre 620 miliardi, ma la quota cala dal 26 al 20%"
Come è cambiato il comportamento delle banche italiane rispetto al debito pubblico negli ultimi sei anni? Quanto Bot e Btp hanno oggi nei propri portafogli gli istituti di credito e quanto pesano, in percentuale, rispetto all’intero ammontare dei titoli di Stato in circolazione? A gennaio 2020, poche settimane prima dello scoppio della pandemia, le banche italiane detenevano circa 630 miliardi di euro di titoli di Stato, pari a una quota prossima al 26% del totale. Oggi (dato di agosto scorso), l’ammontare detenuto è sostanzialmente simile in valore assoluto, attestandosi a 620,5 miliardi, ma il peso percentuale è sceso in maniera netta, fino al 20,1% del totale.
È questa la novità più significativa: le banche non hanno diminuito in modo sostanziale la quantità di Btp e Bot posseduti, ma poiché il debito complessivo del Paese è cresciuto di oltre 660 miliardi tra il 2019 e il 2025, la loro incidenza relativa si è progressivamente ridotta, passando da un ruolo centrale a una posizione meno dominante.
Nel corso di questi sei anni, il comportamento delle banche italiane è cambiato più volte, rispecchiando le diverse fasi economiche e finanziarie. Nel 2020, durante il lockdown e la fase più acuta dell’emergenza sanitaria, le banche hanno svolto un ruolo stabilizzatore e hanno ampliato in modo significativo la propria esposizione: il picco si è registrato nella primavera di quell’anno, quando la loro quota ha superato il 27% e l’ammontare ha sfiorato i 690 miliardi. Nel 2021 la consistenza dei titoli in portafoglio è rimasta elevata, oscillando tra 660 e 680 miliardi, con una quota compresa tra il 24% e il 26%, sostenuta ancora dagli effetti indiretti del quantitative easing.
Il 2022 è stato l’anno dell’ultimo vero picco, non tanto in percentuale quanto in valore assoluto: a metà anno, infatti, le banche italiane hanno toccato la soglia simbolica dei 710 miliardi di Btp e Bot. Da quel momento in avanti è iniziata una graduale discesa, legata sia al rialzo dei tassi d’interesse sia al progressivo ritiro della BCE dagli acquisti. A fine 2022 l’ammontare era sceso sotto quota 690 miliardi, pur rimanendo comunque su livelli storicamente alti.
Nel 2023 si è registrata una tendenza più chiaramente discendente. Da valori iniziali prossimi ai 680 miliardi, le banche sono arrivate a fine anno attorno ai 620-650 miliardi, con la quota percentuale sul totale del debito pubblico scesa sotto il 23%, effetto diretto dell’aumento dell’indebitamento complessivo. Nel 2024 e nel 2025 la dinamica si è ulteriormente ridimensionata, al livello più basso del periodo osservato. Le banche hanno continuato a ridurre fino a 601,4 miliardi pari al 21,7% del totale; la quota è calata ancora, nel corso di quest’anno, fino al 20,1% di agosto. Questa contrazione percentuale, però, non è attribuibile a un disimpegno in senso stretto, quanto piuttosto all’aumento del debito complessivo, oggi oltre i 3.080 miliardi, e alla crescente presenza di altri investitori, in particolare esteri e famiglie.
L’analisi dei dati conferma quindi che, pur mantenendo valore e ruolo importanti, le banche italiane sono oggi relativamente meno esposte al debito pubblico rispetto al passato, passando da quasi il 26% pre-pandemia al 20% attuale. Questa variazione della quota di debito pubblico detenuta “in pancia” dal settore bancario può essere figlia di una strategia di gestione del rischio più prudente, favorita dall’evoluzione della regolamentazione, dal contesto di tassi elevati e dal ritorno degli investitori internazionali sul mercato dei Btp.
Curiosamente, questa minore esposizione relativa potrebbe rivelarsi un punto di forza in una fase di volatilità finanziaria. Le tensioni sui mercati europei, acuite negli ultimi mesi da incertezze politiche in vari Paesi dell’Unione, hanno avuto ripercussioni immediate sui listini bancari. Tuttavia, un sistema creditizio meno carico di debito pubblico potrebbe risultare più isolato rispetto agli shock legati allo spread tra Btp e Bund, beneficiando di una maggiore capacità di assorbire eventuali oscillazioni dei rendimenti.
In sintesi, le banche restano un attore fondamentale nel mercato dei titoli di Stato, ma non sono più “l’acquirente di ultima istanza” di un tempo. Hanno accompagnato la fase emergenziale della pandemia, hanno sostenuto i picchi di emissione del Tesoro nei momenti più critici e oggi, con il ritorno degli investitori esteri e delle famiglie e delle imprese, si trovano in una posizione più equilibrata, con un’esposizione significativa, ma meno dominante rispetto al passato recente.