Generali, Caltagirone al 6%. Lo scenario delle 3 liste e il "rischio Vietnam"

L'imprenditore capitolino compra ancora azioni della compagnia. Il rebus sulla governance lontano dal trovare una soluzione. Per Trieste concreto il rischio...

di Andrea Deugeni
Da sinistra Leonardo Del Vecchio, Francesco Caltagirone e Alberto Nagel
Economia
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Mentre le Assicurazioni Generali si avvicinano al momento decisivo per capire se le divergenze nel complesso fronte degli azionisti italiani si ricomporranno sull'opzione statutaria lista del consiglio e sul rinnovo dell’amministratore delegato Philippe Donnet, l’imprenditore romano, nonché vicepresidente della compagnia, Francesco Caltagirone compra ancora azioni del gruppo triestino, portandosi ormai a un passo dal 6% (precisamente al 5,94%) e consolidando la propria posizione di secondo socio privato del Leone. Un rafforzamento alternativo al pressing che il costruttore capitolino sta attuando anche a monte del gruppo assicurativo, in Mediobanca, nel cui capitale è salito al 3,003% più un ulteriore 1,95% in opzione (esercitabile il 17 settembre), per un complessivo 4,953%.


 

Nel dettaglio, stando ai file di internal dealing di Borsa italiana, tra il 3 e il 6 settembre Caltagirone ha infatti rilevato circa 2,15 milioni di titoli Generali, corrispondenti allo 0,13% del gruppo attraverso le holding Fincal e Finanziaria Italiana 2005.

Caltagirone è in manovra per sostituire ad aprile 2022 Donnet, una volontà di discontinuità che lo accomuna, ma con un lavoro svolto dagli altri più nelle retrovie, al patron di Delfin Leonardo Del Vecchio (4,84%), alla Fondazione Cassa di Risparmio di Torino (1,3%) e alla famiglia Benetton (3,98%), nucleo di soci privati che controlla in tutto il 16,06% del capitale, contro un 12,97% detenuto invece in portafoglio da Mediobanca.

La discontinuità desiderata dai soci privati è da legarsi alla richiesta di apertura di una nuova fase di forte crescita dimensionale per il Leone fatta di espansione internazionale, da accompagnare allo stesso tempo a un'accelerazione sulla digitalizzazione del business e sul taglio dei costi.


Francesco Caltagirone e Philippe Donnet

Piazzetta Cuccia, invece, punta a riconfermare Donnet, manager che si appresta a concludere il secondo mandato con tutti i target di piano centrati per la seconda volta.

Il rebus è di difficile ricomposizione, perché la lotta che è in corso per la governance delle Generali è la classica battaglia di potere, con la coppia Caltagirone-Del Vecchio che vede nell’opzione statutaria (della discordia) della lista del consiglio per il rinnovo degli organi sociali la possibilità per Mediobanca (attraverso la riproposizione a Ceo dell’assicuratore francese e di un board - eletto prima del cambio dello statuto - dove l’impronta della merchant bank è ancora forte) di continuare a esercitare la propria influenza nei confronti del Leone.


Luciano Benetton

Per l’istituto guidato da Alberto Nagel, la modifica che dà il diritto al consiglio uscente di presentare una propria lista di candidati per il Cda che dovrà succedergli (opzione prevista anche il rinnovo degli organi sociali in Mediobanca) è invece il modo per far evolvere la governance del Leone verso le best practice internazionali.

Rappresenta la possibilità di dotare Trieste di un board che, a differenza del passato dove in Piazza Duca degli Abruzzi venivano presentate le singole liste dagli azionisti, consente l’espressione degli interessi di tutti gli azionisti del gruppo assicurativo, compresi quelli degli investitori istituzionali che rappresentano il grosso dei soci del Leone con il 40,72%  del capitale. Una modifica  che oltretutto, si fa notare da Piazzetta Cuccia, è stata votata votata insieme agli altri soci e al mercato. Un’altra novità dello statuto delle Generali (all'art.28.10 punto b) infatti è anche che, nel caso in cui non si arrivi a due liste (quella del consiglio e la seconda di Assogestioni), accanto alla lista di maggioranza siano previsti posti in consiglio non più per una, ma per due liste di minoranza, aumentando quindi il tasso di rappresentatività dell'azionariato.


Alberto Nagel e Romolo Bardin

Gli occhi degli osservatori sono puntati non sul 27 settembre, quando è in programma un consiglio di amministrazione delle Generali che dovrebbe accendere in ultima battuta il disco verde o quello rosso sull'opzione lista del consiglio, ma sui lavori preparatori del dossier in comitato nomine. Un organo interno presieduto da Diva Moriani che, secondo alcuni rumors, potrebbe tenersi intorno al 24 settembre e in cui siedono, oltre ai consiglieri Alberta Figari, Lorenzo Pellicioli e Sabrina Pucci, lo stesso Caltagirone, il rappresentante di Del Vecchio Romolo Bardin e quello di Mediobanca Clemente Rebecchini.

Secondo Piazzetta Cuccia è quella la sede di un primo scambio per adottare una linea da portare poi in Cda. Mentre Caltagirone, spalleggiato anche dagli altri azionisti privati, punta a una soluzione del complesso rebus prima di far arrivare la questione sul tavolo degli organi sociali, dove il conflitto può deflagrare irrimediabilmente, come avvenuto nell’ultimo anno in cui il board ha governato a colpi di maggioranza. L’ingegnere capitolino è aperto al dialogo e, ad esclusione di Donnet, non ci sarebbero preclusioni di sorta su nomi alternativi a cui affidare le redini della compagnia.

(Segue...)

Fonti vicine ai grandi azionisti spiegano come il rischio di un epilogo senza accordo sia molto elevato, con il risultato finale di un abbandono dell’opzione lista del consiglio. Scontro senza precedenti, in cui Mediobanca finirà per presentare la propria lista riproponendo Donnet, Caltagirone la propria (in cui è difficile pensare che manager interni, ora a riporto di Donnet, decidano di farvi parte) e che però, ai nastri di partenza, godrebbe dell’appoggio di oltre il 16% del capitale. La terza sarebbe quella di Assogestioni.


Il presidente delle Generali Gabriele Galateri

Per il bene delle Generali, pare che Nagel, coerentemente con quanto fatto in Mediobanca, difficilmente abbandonerà la strada "lista del consiglio uscente", cedendo alle pressioni di Caltagirone e di Del Vecchio, perché di fatto significherebbe creare precedenti che potrebbero impattare anche sulla governance di Piazzetta Cuccia. Effetto indiretto non certo desiderabile per Mediobanca, dove il peso degli investitori istituzionali è ancora maggiore (supera il 50%). 

Secondo chi segue da vicino le sorti della compagnia triestina, in questo scenario ad aprile del prossimo anno l’esito in assemblea con tre liste sarebbe imprevedibile: il 40% degli istituzionali e quasi il 24% degli azionisti retail infatti dovrebbero dividersi tra le due potenziali liste di maggioranza. Il risultato, secondo il nuovo statuto, sarebbe un consiglio a tre anime con alto tasso di conflittualità (anche nel collegio sindacale) per la natura degli azionisti e che finirebbe per imballare la governance delle Generali. “Un Vietnam”, viene riconosciuto da fonti vicine a tutti i grandi soci.

@andreadeugeni