Goldman Sachs vince la corsa delle banche americane

Bene Wells Fargo, Jp Morgan e Citigroup reggono, crolla Bofa. Bilanci trimestrali, chi ha vinto e chi ha perso

di Marco Scotti
Economia
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Mai come in questo periodo erano attesi i bilanci trimestrali delle grandi banche americane. E questo perché bisogna capire in fretta gli effetti sul sistema del credito che la pandemia ha portato (si fa per dire) in dote. La buona notizia è che i principali istituti hanno tenuto bene, perché per una volta sono stati estremamente prudenti. Quella cattiva è che l’erosione dei ricavi è stata pesante per tutti, com’era logico attendersi. La borsa per il momento non ha apprezzato nessuno di questi risultati e ha pesantemente penalizzato Bank of America la quale, mentre scriviamo, perde oltre il 4%. Vedremo tra poco perché. Mentre su Wells Fargo è necessario un approfondimento ulteriore.

Partiamo da Jp Morgan. La banca guidata da Jamie Dimon (piccola nota di colore: è l’unico banchiere al mondo a far parte del club dei “billionaire”, cioè persone con un patrimonio superiore al miliardo di dollari) ha avuto un calo delle revenue dell’8%, attestandosi nel trimestre appena sopra quota 30 miliardi.

Al contempo, però, ha avuto un balzo incredibile degli utili, passati da 4,69 nel secondo trimestre dello scorso anno a oltre 11 miliardi quest’anno. E il motivo è più positivo di quanto non dicano i numeri. Lo scorso anno Dimon &co. Avevano accantonato in via prudenziale oltre 10 miliardi per far fronte ai possibili insoluti da parte della clientela.

Nei mesi di aprile, maggio e giugno di quest’anno, invece, Jp Morgan si è accontentata di mettere da parte poco più di tre miliardi, remunerando le azioni con 3,78 dollari, sei centesimi oltre le attese degli analisti. Certo, sono lontani i tempi del pre-2008, quando le banche a stelle e strisce avevano crescite da far impallidire il dragone cinese.

Per quanto riguarda Goldman Sachs il discorso è ancora più interessante. Il fatturato è aumentato del 16%, passando da 12,4 a 15,4 miliardi, con un utile per azione passato da 0,53 dollari per azione a 15,02. Il merito di questa performance eccellente non va ricercata soltanto nel mancato accantonamento di riserve per evitare incagli, ma dall’autentico boom delle attività di asset management. I proventi di quest’area di business sono cresciuti del 144%.


 

Al tempo stesso, se si vuole cercare qualcosa di negativo, si può sottolineare come i ricavi dagli investimenti sui mercati siano calati del 32% rispetto allo scorso anno. E questo perché i vaccini hanno accresciuto la fiducia degli investitori e hanno domato la volatilità.

Per quanto riguarda Citigroup, i ricavi sono in calo del 12% a 17,5 miliardi, mentre l’utile vola a oltre 6,2 miliardi di dollari. Da notare come la ceo dell’azienda, Jane Fraser, abbia posto l’accento su un ritorno al dividendo “al massimo consentito dalla Fed” intorno ai 7 miliardi di dollari. E per il futuro il progetto è di ridurre gli accantonamenti (oggi all’11,9% del totale) per restituire il capitale in eccesso agli azionisti.

Chi esce un po’ più malconcio – e la borsa ne è la riprova – è Bank of America. I risultati, in realtà, non sarebbero affatto male: 8,96 miliardi di utili, con un incremento di oltre il 30% rispetto alle stime degli analisti. Un calo del fatturato “solo” del 4%. Ma il problema qui è che le previsioni degli esperti avevano annunciato risultati migliori. E questa differenza negativa non è piaciuta ai mercati.

Infine, Wells Fargo. L’istituto specializzato in credito al consumo ha ottenuto risultati eccellenti: un incremento di oltre il 10% dei ricavi a 20,27 miliardi di dollari e un ritorno all’utile (1,38 dollari per azione) rispetto alle perdite patite nel secondo trimestre del 2020. Anche in questo caso un aiuto decisivo è arrivato dalle riserve “liberate”: 1,6 miliardi di perdite non avvenute che sono state impiegate per remunerare il capitale.

C’è però un enorme punto interrogativo sul futuro di Wells Fargo: negli scorsi giorni è arrivata una lettera in cui si annunciava la chiusura unilaterale di tutte le linee di credito in essere. Si tratta tipicamente di quei prestiti revolving impiegati per avere denaro rapidamente o per avere liquidità ulteriore rispetto alla carta di credito.Con l’annuncio dell’interruzione del rapporto il problema grave per i clienti, tipicamente appartenenti alla middle class, sarà che rischiano di vedere un deterioramento del proprio rating, così da non poter accedere in altri istituti a finanziamenti e linee di credito. In molti sono convinti che la mossa si spieghi con la paura per l’imminente fine delle tutele statali su reddito e sui posti di lavoro. L’avvio del “tapering” dunque spaventa Wells Fargo, che corre ai ripari.