Green economy e obiettivi climatici: così la finanza ha fatto da apripista

Diego Biasi, presidente e co-founder di Quercus Real Assets, racconta ad Affari le peculiarità della low carbony economy

di Marco Scotti
Economia
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"Se la green economy non avesse un interesse economico – chiosa Diego Biasi di Quercus Investment Partners - non ci sarebbe stato un coinvolgimento della finanza. E questo è avvenuto grazie agli incentivi messi in campo dalle istituzioni. Ora però serve una nuova spinta sinergica che metta insieme il mondo dei fondi con quello industriale".

Biasi, presidente e co-founder di Quercus Real Assets, racconta ad Affaritaliani.it quali siano le peculiarità della low carbon economy, l’economia “green” che si pone come obiettivo quello di ridurre le emissioni di anidride carbonica. Quercus è un veicolo specializzato in investimenti infrastrutturali in fonti alternative di energia.

Diego Biasi, che cos’è la low carbon economy e che ruolo stanno giocando le istituzioni nella green economy?

"L’obiettivo è ambizioso: creare un’economia che produce meno Co2 (da qui, appunto, low carbon economy), attraverso la riduzione della combustione che è il fenomeno tipico di quanto si trasforma un derivato del petrolio in moto. L’unico modo è fare riferimento al sole o al vento, sviluppando dunque la green economy. Noi di Quercus siamo convinti non soltanto che sia un modo “corretto” di intendere la produzione di energia dal punto di vista dell’impatto, ma anche che sia profittevole". 

Ci può fare un esempio del vostro impegno?

"Abbiamo creato nel Regno Unito un impianto per la gestione anaerobica dei rifiuti urbani (tranne vetro e metallo) che funziona come un gigantesco “stomaco”, in grado di digerire gli scarti senza che via sia combustione. È un progetto avveniristico che garantisce veramente di ridurre l’impatto". 

A che punto è la maturazione della low carbon economy?

"Maturazione è il termine più corretto perché l’esempio che facciamo sempre è che ora l’umanità non può più permettersi atteggiamenti infantili. Da bambini si tende ad assumere comportamenti non replicabili, mentre è crescendo che si capisce quali sono le modalità corrette d’interazione. Lo stesso sta avvenendo con il pianeta, che deve essere trattato meglio". 

L’Europa ha obiettivi molto ambiziosi per il 2030, con la riduzione delle emissioni del 55%: ma è plausibile o si tratta solo di slogan?

"I target che ci si è dati in merito alla riduzione delle emissioni sono molto ambiziosi. Prendiamo l’Italia, che è già tra i Paesi più all’avanguardia: deve più che duplicare la capacità installata. Oggi ci sono circa 56 Gw provenienti da energia rinnovabile, di cui 24 sono fatti da idroelettrico, biomassa e geotermico mentre gli altri provengono da eolico e solare. L’obiettivo è di passare di 30 Gw provenienti da queste due ultime fonti a 90. In nove anni! Se oggi si inizia una procedura per installare un impianto solare servono mediamente 24 mesi per aprire il cantiere, poi sei mesi per costruire: quindi dovremmo triplicare la capacità di installazione nonostante tempi burocratici ancora molto lunghi". 

Una bella sfida ridurre le lungaggini…

"Io dico sempre che è necessario deburocratizzare i processi. Abbiamo di fronte a noi una sfida complessa ma non impossibile. Occorre però tagliare drasticamente i tempi di autorizzazione, è fondamentale che il governo – e credo che lo stia facendo – lavori in questo senso". 

Quello che stupisce è il ruolo della finanza: non più “brutta, sporca e cattiva” ma autentico motore del cambiamento...

"La finanza ha oggi una veste un po’ più positiva di quella che tipicamente si aveva in mente in passato, ma questo anche perché si è visto che è necessaria per raggiungere dei target non più procrastinabili. Per passare a una low carbon economy, c’era bisogno di ossigeno e questo può arrivare principalmente dal mondo finanziario. Se non avesse avuto interesse economico non ci sarebbe stato coinvolgimento della finanza, e questo è avvenuto grazie agli incentivi". 

Green economy: come si è evoluto il sistema?

"In un secondo momento è arrivata l’industria, che ha iniziato a pompare capitali enormi, ha creato una naturale ripartizione tra investitori finanziari e industriali, con i secondi che vedranno progressivamente ampliare la fetta di mercato grazie a un approccio diverso: non si deve garantire un rendimento immediato agli investitori. Quercus ha un approccio che mira a dare un supporto all’investitore industriale, più che a entrare indipendentemente in un investimento e poi uscirne per avere un ritorno economico nel breve termine. Ci mettiamo al servizio dell’investitore industriale. Ciò che prepariamo serve per creare un rendimento maggiore rispetto alla concorrenza tra industriale e finanziario. Noi prepariamo i progetti che servono per costruire l’impianto fotovoltaico o eolico, l’investitore industriale altrimenti li dovrebbe reperire nel mercato, noi invece entriamo prima della costruzione, creando un plusvalore maggiore rispetto alla semplice creazione dell’impianto".

Un tema enorme cui state guardando con curiosità è quello del Carbon capture: di che cosa si tratta?

"La Carbon capture è qualcosa che ancora non ha trovato un’industrializzazione, ma è ai primordi per quanto riguarda lo studio e la lavorazione. Facciamo un esempio pratico: tornati dalle vacanze, dopo un mese, si apre la casa e la si trova piena di polvere. Se l’indomani si devono ricevere degli ospiti e non si vuole fare brutta figura non basta non far accumulare altra polvere, bisogna rimuovere quella che c’è già. Stessa cosa vale per l’ambiente. Stiamo già sporcando troppo la Terra, stiamo immettendo troppa Co2: non basta più ridurre l’impatto, bisogna iniziare a ripulire. La carbon capture si prefigge di invertire il senso di marcia, passare da tante emissioni a poche emissioni e alla riduzione dell’anidride carbonica. Ma ripeto: siamo ancora in una fase di R&D e sebbene due-tre aziende hanno trovato delle soluzioni che non sono ancora efficienti per poterle implementare su larga scala e in tempi rapidi".