Italia, buone notizie: l’uscita dalla procedura di deficit UE si avvicina. Saldo primario attivo e spread ai minimi
Restano, tuttavia, i punti di fragilità strutturale. Il debito, sopra il 135% del pil, rappresenta un fardello che limita i margini di manovra
Italia, buone notizie: l’uscita dalla procedura di deficit UE si avvicina vicina. Saldo primario attivo e spread ai minimi
Con un deficit sceso al 3,4% del pil nel 2024, un saldo primario tornato in attivo (+0,4%) e un debito stabilizzato al 135,3%, l’Italia mostra segnali concreti di consolidamento dei conti. Le previsioni della Commissione Ue indicano un disavanzo al 3,3% nel 2025 e al 2,9% nel 2026, in linea con il percorso di correzione imposto da Bruxelles.
Le nuove regole fissano inoltre un tetto alla spesa netta, che dovrà crescere non oltre l’1,3% nel 2025 e l’1,6% nel 2026. Il Centro studi di Unimpresa mette in fila i parametri che, se rispettati, consentiranno la chiusura della procedura per deficit eccessivo come delineato dal presidente della Bce, Christine Lagarde. A sostenere questa prospettiva, c’è anche la fiducia dei mercati: lo spread btp-bund-Bund è sceso stabilmente sotto i 100 punti base, con rendimenti del decennale italiano attorno al 3,6%, aprendo risparmi fino a 7-8 miliardi sulla spesa per interessi nel biennio 2025-2026, per un totale di circa 13 miliardi.
Questi numeri, nel complesso, avvicinano l’Italia al ritorno alla piena normalità fiscale europea. «La combinazione di deficit in calo, saldo primario positivo, spread ai minimi e riduzione della spesa per interessi rafforza la credibilità fiscale del Paese. La sfida, nei prossimi due anni, sarà quella di consolidare questi risultati, rispettando i vincoli europei sulla spesa e mantenendo un percorso di crescita capace di sostenere la discesa del debito pubblico. Si tratta, in definitiva, di un test anche politico: l’Italia dovrà dimostrare di saper coniugare disciplina e responsabilità con la necessità di non sacrificare coesione sociale e investimenti.
Ogni deviazione, sia per scelte di spesa non coperte sia per spinte elettorali a breve termine, rischierebbe di compromettere il percorso intrapreso e di riaprire la diffidenza dei mercati. Al contrario, la capacità di mantenere un profilo di bilancio prudente, pur in un contesto di instabilità internazionale e di crescente competizione politica interna, può rafforzare la posizione dell’Italia in Europa e accreditare il governo come attore affidabile nel difficile equilibrio tra rigore e sviluppo» commenta il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi.
Secondo il Centro studi di Unimpresa, i più recenti dati di finanza pubblica indicano un miglioramento sostanziale dei conti italiani. Nel 2024 il deficit si è attestato al 3,4% del pil, in calo significativo rispetto al 7,2% del 2023.
Il saldo primario ha registrato un ritorno in territorio positivo (+0,4% del pil), mentre il debito pubblico si è stabilizzato al 135,3% del pil. Le proiezioni della Commissione europea segnalano un’ulteriore riduzione del disavanzo: 3,3% nel 2025 e 2,9% nel 2026, valori che riportano il Paese entro i parametri previsti dal Trattato di Maastricht. Il Consiglio dell’Unione europea, nel gennaio 2025, ha fissato i paletti per il rientro dalla procedura di deficit eccessivo.
Oltre al rispetto della soglia del 3%, l’Italia dovrà mantenere la crescita della spesa netta entro +1,3% nel 2025 e +1,6% nel 2026. Questi vincoli costituiscono il metro operativo della nuova governance fiscale comunitaria e condizionano la chiusura della procedura entro il 2026. Il miglioramento dei conti pubblici ha trovato conferma anche sui mercati. Lo spread btp-bund si mantiene stabilmente sotto i 100 punti base, con un minimo di circa 85-90 pb raggiunto nelle ultime settimane, il livello più basso dal 2010. I rendimenti del decennale italiano oscillano intorno al 3,6%, ben al di sotto dei picchi superiori al 5% registrati nell’autunno 2023.
La compressione dei rendimenti ha già effetti misurabili sulla spesa per interessi. Considerando un fabbisogno annuo di emissioni lorde pari a circa 500 miliardi di euro, la differenza tra uno spread superiore ai 200 pb e gli attuali 90–100 pb consente risparmi fino a 5 miliardi di euro nel 2025. Con l’effetto cumulativo del rifinanziamento del debito in scadenza, nel 2026 i risparmi potrebbero superare i 7–8 miliardi di euro, per un totale di circa 13 miliardi in un biennio.
L’Italia si trova oggi in una fase cruciale sul piano della finanza pubblica. Dopo anni di squilibri accentuati, i conti stanno mostrando segnali di miglioramento che potrebbero consentire al nostro Paese di uscire progressivamente dal perimetro delle procedure europee per deficit eccessivo. Il dato di partenza è il risultato conseguito nel 2024: il disavanzo è sceso al 3,4% del pil, quasi dimezzato rispetto al 7,2% del 2023, grazie a un ridimensionamento della spesa straordinaria e a un gettito fiscale sostenuto da inflazione e crescita nominale.
Ancora più significativo è il ritorno a un avanzo primario, seppur modesto (+0,4% del pil), che indica la capacità dello Stato di coprire le spese correnti al netto degli interessi. Il debito pubblico si è attestato al 135,3% del pil, un livello ancora molto elevato ma stabile rispetto agli anni precedenti. Le previsioni della Commissione europea indicano un percorso di ulteriore consolidamento: deficit al 3,3% nel 2025 e al 2,9% nel 2026. Questa traiettoria è coerente con gli obiettivi fissati dal Consiglio europeo, che ha raccomandato all’Italia di riportare i conti entro i parametri entro il 2026.
A ciò si aggiungono i vincoli derivanti dalle nuove regole fiscali dell’Unione: la spesa netta non potrà crescere oltre l’1,3% nel 2025 e l’1,6% nel 2026, un limite che costringerà il governo a un controllo molto attento delle poste di bilancio più sensibili. Il contesto dei mercati finanziari offre, al momento, un sostegno favorevole. Lo spread tra btp e bund, che nel 2022 e nel 2023 aveva superato i 200 punti base, è sceso nel 2025 stabilmente sotto quota 100, toccando 85-90 punti nelle ultime settimane, il livello più basso dal 2010.
Contestualmente, i rendimenti del decennale italiano si collocano intorno al 3,6%, un valore gestibile che riduce la spesa per interessi rispetto ai picchi del recente passato. I risparmi potenziali derivanti da questa compressione dei tassi sono rilevanti: già nel 2025 potrebbero aggirarsi attorno ai 4-5 miliardi di euro, per poi superare i 7 miliardi nel 2026 con l’effetto cumulativo del rifinanziamento di tranche di debito emesse negli anni più turbolenti.
Restano, tuttavia, i punti di fragilità strutturale. Il debito, sopra il 135% del pil, rappresenta un fardello che limita i margini di manovra. La crescita economica si prospetta debole, con previsioni attorno allo 0,5% nel 2025 e allo 0,8% nel 2026, livelli insufficienti per ridurre significativamente il rapporto debito/pil. Inoltre, la tenuta dei conti dipenderà dalla capacità politica di rispettare i vincoli europei, senza cedere a pressioni interne per maggiori spese su welfare, rinnovi contrattuali o difesa.