La riforma del Fisco arranca. Franco: "Risorse scarse". Partiti in ansia

Difficilmente taglierà il traguardo del varo entro luglio

di Ulisse Spinnato Vega
Lapresse
Economia
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Il motore del governo Draghi batte in testa. E iniziano i primi problemi di cronoprogramma per le riforme richieste dalla Ue in cambio degli oltre 200 miliardi del Recovery plan. Oltre ai dossier concorrenza e ammortizzatori, anche la delega di riforma del fisco difficilmente taglierà il traguardo del varo entro luglio. Mentre qualcuno mette in dubbio persino che si possa chiudere prima della pausa di metà agosto.

Il ministro dell’Economia Daniele Franco lo ha detto chiaro ai partiti: le risorse sono scarse, al momento non più di 2-3 miliardi, pesano le incognite legate alla variante Delta del Covid che getta ombre su una ripresa altrimenti robusta; dunque bisogna, almeno per il momento, accantonare le ambizioni più grandi. Deficit non se ne può fare e Franco si è mostrato freddo sull’ipotesi di imporre nuove tasse per finanziare una riforma che negli intenti dovrebbe essere epocale in ottica di semplificazione e maggiore equità del sistema di prelievo. In ogni caso, si tratta di briciole se si considera che le 18 pagine del documento di indirizzo varato il 30 giugno scorso dalle Commissioni Finanze di Camera e Senato contenevano interventi per una quarantina di miliardi.

In attesa di capire se altri fondi saranno trovati in legge di Bilancio, si lavora allora attorno ad alcuni punti chiave, già enucleati nelle direttrici fornite dal Parlamento: riduzione della tassazione per la terza fascia Irpef (28-55mila euro), abolizione dell’Irap che sarebbe accorpato all’Ires (ma già questa misura assorbe circa 3 miliardi, se si considerano tutti i soggetti che oggi versano l’imposta regionale senza essere tenuti a pagare quella sulle imprese), eliminazione delle microtasse che valgono circa 700 milioni e semplificazioni sul terreno dell’Iva. Si vedrà invece quanto e come sarà possibile rivedere, ad esempio, il sistema complessivo di aliquote e scaglioni Irpef. Oppure agire su temi politicamente sensibilissimi come le tax expenditures e il catasto.

In Parlamento serpeggia adesso la delusione per il rinvio che si somma a quella per il profilo basso che la delega dovrebbe mantenere. Il M5S, già in sofferenza su altri dossier, a partire dalla giustizia, mette i paletti contro “una certa nostalgia di austerità” e dice no all’idea paventata da qualcuno di finanziare la riforma fiscale con “tagli di spesa e di investimenti”, idea giudicata “totalmente folle”. Dall’altra parte, il centrodestra tiene duro sull’obiettivo di riduzione complessiva del carico fiscale. Alberto Luigi Gusmeroli, vicepresidente leghista della Commissione Finanze Camera, mostra calma e sangue freddo con Affari: “L’importante è che la riforma fiscale preveda una diminuzione delle tasse e una semplificazione. Per il resto, possiamo aspettare uno o due mesi in più, visto che il sistema è vecchio di 50 anni”.

Sulle coperture, l’esponente del Carroccio fa quadrato: “Ci fidiamo del ministro Franco e del premier Mario Draghi. Entrambi hanno detto no a patrimoniali e nuove tasse. Intanto ci sono molte semplificazioni che si possono fare senza oneri: per esempio la rateizzazione dell’acconto di novembre proposta dalla Lega non necessita di coperture, come asserito dall’Istat. Così come le ulteriori semplificazioni sulla fattura elettronica – prosegue Gusmeroli – mentre le microtasse comportano per lo Stato un costo che supera il gettito. Oppure l’abolizione Irap per piccole imprese, artigiani e professionisti che ha già lo stanziamento in bilancio di 3 miliardi. O ancora la no tax area per 10 milioni di contribuenti che non ha bisogno di essere coperta”.  

Dalle parti di Forza Italia, Sestino Giacomoni, membro anch’egli della Finanze di Montecitorio, chiede al governo di tenersi in linea con le indicazioni parlamentari: “L’auspicio è che il contenuto della riforma rispetti i principi del documento che la Commissione finanze ha approvato il 30 giugno a larghissima maggioranza. Indicazioni che segnano una svolta di carattere politico di non poco conto e che rappresentano una vittoria culturale di Forza Italia: anteporre la crescita e la diminuzione del carico fiscale alla redistribuzione senza l’imposizione di nuove patrimoniali”. Pure Giacomoni sottolinea che il ministro Franco “è stato chiaro” su “nessuna nuova tassa né patrimoniali”. Se serviranno altre risorse, “sarà importante efficientare la spesa pubblica ed eventualmente rimodulare i meccanismi di bonus e sostegni che derivano da misure dei governi precedenti. Pensiamo ad esempio all’inefficienza e al costo del reddito di cittadinanza”, rincara l’esponente azzurro stuzzicando ancora i Cinquestelle. Poi conclude: “Sicuramente i punti sui cui terremo duro saranno, oltre al superamento dell’Irap e la riduzione delle aliquote Irpef in un’ottica di semplificazione e di crescita, il mantenimento del regime forfettario, con possibilità di un regime fiscale transitorio per i contribuenti che superano il limite di 65mila euro”.

L’impostazione del centrodestra non piace al Pd. Un esponente dem di spicco, dietro anonimato, sibila ad Affari: “Le forze politiche devono assumersi la responsabilità di individuare le fonti di copertura delle proposte. Noi siamo d’accordo con Franco: non si può fare la riforma in deficit, altrimenti rischiamo voli pindarici”. Poi l’attacco ai colleghi di maggioranza del centrodestra: “Le tasse non si possono solo diminuire e non ci si può aggrappare alle parole di Draghi e Franco, si tratta di alibi insensati. Il ministro dell’Economia non ha mai detto che non si possano fare azioni di redistribuzione del carico fiscale. Se queste sono le premesse – chiude il parlamentare del Pd – allora è chiaro che la montagna partorirà il topolino”.