La stagflazione minaccia il mondo? La verità. Colpisce in modo diverso...
I Paesi Emergenti sono quelli più a rischio
Di Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie d’investimento di SoldiExpert SCF
Da qualche tempo sui giornali e siti di mezzo mondo compare, soprattutto, la parola stagflazione come la nuova minaccia che incombe sulle nostre vite, un cocktail micidiale fatto da stagnazione economica più inflazione.
In pratica significa ritrovarsi con l’economia in picchiata e i prezzi dei beni e servizi che si impennano. Qualcosa che assomiglia alle piaghe d’Egitto che secondo la Bibbia, Dio inflisse al popolo che abitava le sponde del Nilo per non aver liberato gli ebrei dalla schiavitù.
La colpa della stagflazione non va questa volta agli Egizi (hanno altri problemi oggi seppure a breve sarà possibile ritornarci in vacanza), ma alla Cina, alle Banche Centrali, ai russi e agli americani (come cantava Lucio Dalla).
Le previsioni per il 2022 dell’economia sono in realtà molto buone e vi pubblico qui un grafico che ho visto in una ricerca della banca HSBC che mostra come l’attuale situazione non è certo paragonabile a quella dei primi anni ’70 quando questo mostro della stagflazione si palesò come Godzilla in mezzo mondo per effetto della crisi petrolifera.
Che la stagflazione sia alle porte certo non si può escludere visto che il futuro non lo conosce nessuno e nemmeno gli economisti direbbe Paul Samuelson che nonostante fosse stato uno dei più grandi economisti della storia ricordava come «gli economisti hanno correttamente previsto nove tra le ultime cinque recessioni.»
Il “misery index” riassume il tasso di disoccupazione e il tasso di inflazione, ed è un indicatore semplice ma chiaro che si inventò l'economista statunitense Arthur Okun e come si può vedere i valori attuali sono molto più bassi rispetto agli anni '70.
E peraltro un’analisi mostra come la stagflazione può colpire i Paesi in modo diverso, poiché in Germania all’epoca le conseguenza furono molto minori che negli Stati Uniti e nel Regno Unito.
I timori per la salita dell’inflazione certo esistono e certi beni essenziali (non le Nike Air Jordan che vuole nostra figlia per il compleanno) sono saliti in modo incontrollato (penso all’elettricità e al gas). I tassi di disoccupazione sono, però, attualmente in calo e grazie anche agli interventi massicci in mezzo mondo da parte di governi e banche centrali, una mare di soldi alimenta consumi e investimenti.
Le contraddizioni certo ci sono e quelli che rischiano di patirne maggiormente le conseguenze sono i più poveri e i Paesi Emergenti, dove il carovita potrebbe avere contraccolpi politico-sociali rilevanti se la situazione non si rivelasse transitoria, considerato che il 96% della popolazione nei paesi a basso reddito rimane non vaccinata, secondo Gita Gopinath, il direttore della ricerca dell'FMI (Fondo Monetario Internazionale).
Nella seconda parte della lettera settimanale parlo di risparmio gestito, fondi ed ETF e non solo perché è uscito un ponderoso studio sull’argomento di Mediobanca sull’argomento, ma perché come l’automobilista di Giole Dix sono “incazzato come una bestia” di fronte a come ancora molte banche italiane trattano come ottentotti i loro clienti, disapplicando la normativa Mifid in pieno conflitto d’interessi.
Quando non esisteva il politicamente corretto gli ottentotti erano considerati il livello più basso della razza umana, gli indigeni dell’Africa Meridionale dell’Ottocento, selvaggi a cui potevi anche proporre lo scambio delle loro pepite d’oro (i risparmi di oggi) con “pezzetti di vetro colorati”, secondo una definizione di Antonio Gramsci.
E in tema di pepite quelle vere, mi raccomando di prenotarvi qui all’appuntamento del webinar del 27 ottobre per il mese dell’Educazione Finanziaria dove non vedo l’ora di parlare con Roberta con i nostri super ospiti (Riccardo Ruggeri, Giuseppe Frascà, Stefano Di Benedetto) di ricchezza fatta e ricchezza tramandata con il webinar “Padre ricco, figlio riccastro (e nonno ricchissimo)".
Buona lettura (se vorrai),
Responsabile Strategie d'Investimento SoldiExpert SCF
COSA E’ SUCCESSO SUI MERCATI E NEL MONDO
RAPPORTO SHOCK DI MEDIOBANCA SUI FONDI D'INVESTIMENTO DI AZIMUT, MEDIOLANUM, FINECO, BANCA GENERALI E ANIMA.
Per i mercati azionari la scorsa settimana è passata felice, quasi spensierata, con rialzi in quasi tutte le Borse del mondo di circa il 2% dopo che solo la settimana precedente i musi di molti operatori e risparmiatori erano invece diventati torvi.
A rasserenare gli animi i dati positivi arrivati non dagli economisti, ma soprattutto dalle imprese e dai consumatori con trimestrali e dati sui consumi molto positivi
Le azioni di Wall Street hanno avuto la loro settimana migliore in quasi tre mesi, poiché i forti utili societari hanno temperato i nervi tesi sull'inflazione e sull’aumento dei prezzi dell’energia, le catene di approvvigionamento inceppate e le aziende che non riescono a trasferire i costi più elevati sui consumatori.
I rapporti sugli utili trimestrali migliori del previsto delle banche di Wall Street e del produttore di chip per iPhone, TSMC (Taiwan Semiconductor Manufacturing Company) hanno sollevato l'umore e anche in Europa i risultati trimestrali sono stati a oggi migliori delle aspettative.
Questa settimana è partita, invece, in negativo come reazione alle notizie arrivate all’alba di lunedì sul rallentamento dell'economia cinese e nuovamente all'effetto combinato dei timori sull'inflazione, alimentati dall'aumento dei prezzi delle materie prime.
Il PIL della seconda economia mondiale è cresciuto del 4,9% su base annua nel terzo trimestre, il dato più debole dell’anno, rispetto al +7,9% nel periodo aprile-giugno. La crescita ha risentito in particolare della carenza energetica, delle tensioni sulle filiere e del settore immobiliare dove la grana Evergrande (ne avevamo parlato qui) non è stata risolta e sabato si capirà qualcosa di più visto che scade il periodo di “grazia” per le prime cedole finora non pagate.
In Cina il carbone è tornato buono (altro che decarbonizzazione) e l'aumento dei prezzi sta colpendo la redditività dei fornitori di elettricità, rendendo le società che producono energia elettrica riluttanti a generare energia. E poiché si dà la priorità alla fornitura di energia ai settori che toccano la vita quotidiana, il governo cinese sta limitando le forniture, dall'acciaio al cemento.
Il risultato è una minore produzione e una maggiore inflazione e questo rallentamento nel terzo trimestre ha contribuito anche alla "tolleranza zero" di Pechino per le epidemie di Covid nella variante Delta durante quest’estate. E questo è stato un chiaro vento contrario per l'attività economica, in particolare nel settore dei servizi per l'inasprimento delle restrizioni alla mobilità e la reimposizione dei blocchi regionali nel bel mezzo della tipica stagione dei viaggi.
E in Cina non è che si può molto discutere su queste cose se il Partito dice così.
Il governo cinese prevedeva fino a poche settimane fa comunque che l'economia cinese sarebbe cresciuta del 6% per tutto il 2021, il Fondo monetario internazionale stimava l'8% e la Banca asiatica di sviluppo l'8,1%.
Ognuno dà i numeri, insomma.
Io invece i numeri li do’ quando ricevo email come quella del signor Giorgio che aveva scritto qualche settimana fa a SoldiExpert SCF, dopo il nostro articolo dedicato a investire sui figli, per chiedere un’opinione su dei fondi d’investimento e prodotti proposti dalla sua banca. Gli avevamo fatto notare che se avesse acquistato degli ETF simili a quanto proposto avrebbe risparmiato un bel po’ di quattrini e come nonno avrebbe fatto sicuramente un regalo più grande al nipotino.
Mi ha scritto che il direttore della sua banca (una delle principali in Italia) gli ha risposto “piccato” quando gli ha detto che quanto gli proponevano gli sembrava un po’ caro, chiedendo maggiore trasparenza sui costi. E riguardo gli ETF il signor Giorgio mi ha detto che la banca gli ha spiegato che per lui questi strumenti sono giudicati troppo pericolosi, poiché “io sono etichettato come risparmiatore tranquillo e sono impossibilitato a fare simili investimenti speculativi, perciò non mi vengono nemmeno proposti. L'alternativa, se ho capito bene, sarebbe modificare il mio status e renderlo più ‘spregiudicato’, ma anche così, mi pare d'aver capito, sarebbe tortuoso (a loro dire) investire in simili prodotti”.
Il motivo per cui banche e reti sconsiglino o addirittura ostacolino l’acquisto di ETF è noto e passa sotto il nome di conflitto d’interesse.
Se la banca colloca o consiglia un fondo o un certificato, un 2% medio all’anno minimo minimo (e vedremo fra poco anche molto di più) gli può ritornare come provvigioni dalle società emittenti o dalle società di gestione mentre se consiglia uno strumento come un ETF non gli ritorna indietro un cent e l’unico piccolo guadagno che può fare è solo sulla negoziazione (pochi euro una tantum).
Che poi gli ETF siano più pericolosi dei fondi è “una sulenne minchiata” direbbe il Commissario Montalbano perché sarebbe come dire che un chilo di farina pesa più di un chilo di piombo. Esistono ETF monetari, obbligazionari, azionari… e quindi il catalogo è così vasto (sono solo in Italia quotati 1452 ETF che contavo stanotte invece delle pecorelle per addormentarmi) che ci sono certo ETF anche rischiosi (per esempio quelli a leva) ma anche tranquillissimi e del tutto comparabili ai fondi omologhi. Anzi considerando che qualche volta il gestore “impazzisce” oltre che esagera sui costi fra un ETF e un fondo in generale se proprio dobbiamo dirla tutta la cosa più pericolosa è un ETF.
E tutte le ricerche (se non volete leggere qui quello che abbiamo scritto noi c’è qui una ricerca annuale fatta da Standard and Poor's Corporation, mica cotiche) dimostrano che l’85% dei fondi si comporta complessivamente peggio degli ETF per via dei costi (in primis) e poi dell’inefficienza dei gestori.
Chi ci conosce sa che non siamo “talebani” e non diciamo sempre “vade retro” ai fondi, ma quando è troppo è troppo.
E vedere trattati ancora oggi (perché questo accade) i risparmiatori come se avessero l’anello al naso non dovrebbe essere possibile visto che dopo la Mifid I, abbiamo avuto anche con decorrenza 3 gennaio 2018 la Mifid II, che sulla carta è stata annunciata come “la rivoluzione che metteva al centro il risparmiatore, la trasparenza sui costi e la sua tutela” (così scrivono sui siti le stesse banche furbette).
Il problema è enorme e che il conflitto d’interesse sia pazzesco basti un dato che quando l’ho letto non ci volevo credere. Secondo il bollettino di Assoreti, l’associazione delle banche e delle imprese di investimento che prestano il servizio di consulenza in materia di investimenti e che rappresenta una quota importante di questo mercato, sapete quanto “cubano” in percentuale ETF/ETC/ETF rispetto al totale del patrimonio dei prodotti finanziari distribuiti dalle imprese aderenti? L’1%. Si avete letto bene.
La parte del leone della consulenza offerta da banche è fatta da fondi comuni e sicav (10 volte più cari mediamente degli ETF, ça va sans dir) che pesano per il 32%, gestioni patrimoniali (10,7%), prodotti assicurativi e previdenziali (27%) fra cui soprattutto unit linked, mentre la restante parte è il risparmio amministrato dove i certificati pesano quasi quanto gli ETF perché i certificates offrono ai collocatori super provvigioni e non c’è banca che non li proponga (le stesse che magari dicono che gli ETF sono rischiosi)
Arrivati a questo punto potreste pensare (e non mi offendo) che esageriamo contro il conflitto d’interessi nel mondo del risparmio gestito e che la facciamo più grande di quello che è e quello che diciamo noi (e documentiamo da molti anni come secondo noi ed è un dovere per chi fa consulenza indipendente e deve mettere veramente il cliente al primo posto) è esagerato.
E allora leggiamoci in religioso silenzio (o se volete il Requiem di Mozart K, 626 è sempre un gran bel sentire) cosa ha scritto l’ufficio studi di Mediobanca in un corposo report riservato di 88 pagine che queste settimane la sventurata Roberta (bloccata a casa dal colpo della strega) si è letta tutto avidamente. E stiamo parlando di Mediobanca, il santuario della finanza italiana e non certo di un covo di esagitati del movimento Occupy Wall Street.
Lo studio in realtà è nato con l’obiettivo di passare al setaccio commissioni e performance delle 5 società di gestione del risparmio quotate a Piazza Affari e capire rispetto al periodo precedente alla introduzione della Mifid se i costi per i risparmiatori sono calati e come funziona il loro modello di business.
Le “magnifiche 5” analizzate sono quindi Banca Generali, Anima, Azimut, Banca Mediolanum e Fineco e sintetizzare alcuni commenti di questo report è fantastico e dubitiamo che molte di queste società di gestione sarebbero contente che i loro clienti sapessero cosa c’è scritto.
Secondo questa analisi di Mediobanca, che ha fatto un lavoro veramente ciclopico prendendo di tutte queste società i fondi più collocati alla clientela (e se riusciremo a parlarne ancora nel futuro di questa analisi perché è pazzesca), Azimut è in sintesi la società che colloca i fondi più cari. Tra commissioni di gestione e di performance, un cliente di Azimut può pagare fino al 6% annuo di costi.
Nonostante le raccomandazioni dell’Esma, l’autorità che ha tra i propri compiti quella di aumentare la tutela degli investitori, di calcolare le performance su base annuale e non mensile, nel 2020 il 25% dei fondi della società di gestione quotata ha applicato commissioni di performance sui suoi fondi, nonostante performance annuali negative per i sottoscrittori. E Azimut, secondo Mediobanca, è la società che imperturbabile continua a far pagare di più i propri clienti senza diminuire i costi negli anni, anzi.
Come si vede dalla tabella sottostante, anche Banca Generali sul 15% dei fondi sottoscritti dai suoi clienti ha incassato commissioni di performance anche quando i clienti avevano subito un risultato negativo nel corso dell’anno. Questo è stato possibile grazie al calcolo mensile anziché annuale delle commissioni di performance.
Banca Mediolanum nel 2020 non ha invece incassato commissioni di performance quando il risultato è stato negativo, essendosi già allineata alle nuove regole di calcolo indicate dall’Esma relativamente alle commissioni di incentivo mentre Fineco resta l’unica società a non applicarle anche se nel rapporto Mediobanca qualche tirata d’orecchie se la prende.