Manager/ Burgez in liquidazione, chi è Simone Ciaruffoli: fondatore e Ceo del fast food più scorretto d’Italia

Giro d'affari da 10 milioni, 20 locali in Italia e oltre 150 dipendenti. Dietro l'ascesa e il fallimento di Burgez c’è Simone Ciaruffoli, il fondatore che ha fatto del marketing provocatorio la sua firma

di Rosa Nasti
Economia

Manager/ La rubrica di Affaritaliani.it che racconta le figure professionali che hanno fatto - o stanno facendo - la storia dell'imprenditoria

"Try not to come back if you can" (Prova a non tornare, se ci riesci). Lo slogan provocatorio di Burgez oggi suona come una beffa o quasi una profezia. A fine maggio, il Tribunale fallimentare di Milano ha aperto ufficialmente la liquidazione giudiziale della catena di fast food fondata da Simone Ciaruffoli, guru del marketing. Venti locali in tutta Italia, una fanbase social agguerrita, uno storytelling da romanzo pulp, eppure adesso la società è costretta a vendere i propri beni per ripagare i debiti. Debiti che, stando agli atti, ammonterebbero a "oltre 30mila euro".

Una cifra che può sembrare irrilevante, se messa a confronto con il giro d’affari da 10-15 milioni di euro annui che l’azienda dichiarava fino a poco tempo fa. Ma anche troppo bassa per sembrare credibile. Perché Burgez non è solo una catena di hamburger: è un format, un’operazione talmente cucita addosso al suo fondatore da diventare inevitabilmente notizia. E allora perché Simone Ciaruffoli, diretto e provocatorio in ogni uscita pubblica, oggi tace? Perché ha chiuso tutti i profili social? Ma soprattutto: chi è davvero l’uomo che ha messo in piedi la catena di burger più irriverente d’Italia?

"Dietro Burgez c’è un ventenne brufoloso, nerd, incurante, che risponde come preferisce, usa meme e fa pubblicità comparativa. È come se non ci fosse dietro una srl, ma questo ragazzino senza responsabilità". Così si descriveva tempo fa Ciaruffoli. Romano, classe 1977, mente brillante e borderline. Autore televisivo, regista, sceneggiatore, docente universitario, esperto di psicologia e soprattutto comunicatore visionario. Ciaruffoli ha scritto libri su Stanley Kubrick, ha sceneggiato Camera Café e Love Bugs, ha fatto lo spin doctor per politici noti, ha fondato uno studio creativo Upper Beast Side. E soprattutto ha messo in piedi Burgez, il primo fast food in Europa a diffondere il concetto di "smash burger". Il suo marketing? Grezzo, irriverente, spudoratamente scorretto. A tratti geniale, a tratti sgradevole.

Il marketing di Burgez va contro ogni standard, ma è coerente nel portare avanti uno storytelling fastidioso, sfacciato. Gioca con i meme, parla senza filtri per affermarsi come un brand ribelle, che vive di provocazioni. Una comunicazione dichiaratamente controcorrente, che azzarda, sfida il conformismo e per questo finisce spesso al centro delle polemiche. Indimenticabile l’annuncio in cui spiegava perché le italiane non fanno le cassiere: "hanno il moroso, la palestra, la stanchezza…". Così come il post sessista per l’8 marzo, con una t-shirt "doggy style" in omaggio per le clienti. Poi ci sono trovate come Rehab, il panino pensato per chi ha alzato troppo il gomito: ideato per combattere l’hangover e aiutare nel dopo-sbornia.

Burgez non parla mai di quanto è buono, non descrive gli ingredienti, non esalta i benefici del suo prodotto. Anzi, spesso fa l’opposto: irride i codici classici del food marketing e cavalca anche l’onda dei competitor. Nel 2020, all'apice del successo, Ciaruffoli scrive per Mondadori "Il Vangelo secondo Burgez", un manifesto autobiografico in cui racconta la sua ascesa dalla "povertà assoluta alla ricchezza". È la Bibbia laica del self-made man versione street food. L’anno prima aveva già dato alle stampe "Marketing Luther King", pamphlet filosofico-pop diventato subito oggetto di culto tra i marketer wannabe.

Ma come nasce Burgez? La leggenda narra che tutto parta nel 2012, a New York, quando un clochard di Amburgo gli regala un ricettario segreto. Due anni dopo, con Expo alle porte, Ciaruffoli apre il primo Burgez in via Savona, a Milano. Il prodotto è buono ma è soprattutto la comunicazione a fare il botto. Nel giro di pochi anni la catena esplode: Roma, Bologna, Torino, Firenze, persino Reggio Emilia. Si fa conoscere con claim come “Abbiamo insegnato a tutti come fare gli hamburger, ma non hanno capito”. Si posiziona come l’anti-McDonald’s, colto e volgare insieme. Il pubblico giovane abbocca: è Instagrammabile, è tagliente, è uno statement. E Simone Ciaruffoli non è solo il fondatore del marchio, ma mente e firma di ogni singola campagna pubblicitaria, realizzata attraverso l’agenzia creativa Upper Beast Side, da lui stesso fondata e inglobata nel gruppo Burgez. 

La catena in poco tempo apre circa 20 store e conta oltre 150 dipendenti. Nel 2021, ultimo bilancio disponibile, Burgez Srl dichiarava ricavi per 6 milioni di euro, un utile netto di 57 mila euro e una rete di 16 punti vendita. Dopo la pandemia il giro d’affari è salito intorno ai 10 milioni, spinto anche dalle partnership con le piattaforme di delivery. L’obiettivo dichiarato per il 2022 era ambizioso: raggiungere i 15 milioni. Ma negli ultimi due anni qualcosa si è inceppato. Le nuove aperture si sono diradate, alcuni locali hanno chiuso, e anche il marketing ha cominciato a rallentare. Fino ad arrivare alla sentenza del Tribunale.

Oggi la pagina Instagram è ferma da sei giorni. L’ultimo post era l’annuncio della partecipazione al Nameless Festival. Ma nessuna parola sulla crisi, nessun tentativo di spiegare. Una cosa però è certa: la storia di Burgez è tutto fuorché banale. È la dimostrazione che il marketing può costruire un impero e distruggerlo con la stessa rapidità. Nel bene o nel male, purché se ne parli. 

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