Natale, l'allarme della Cgia: "Con le feste aumenta il rischio usura" - Impennata dell’insolvenza al Sud - L'analisi
800mila italiani hanno dichiarato di aver utilizzato il credito al consumo per acquistare i regali del prossimo Natale, tramite finanziamenti o prestiti personali
Natale, la denuncia della Cgia: "Con le feste aumenta il rischio usura". Impennata dell’insolvenza al Sud (+6,3%)
Siamo entrati nel periodo delle festività natalizie e, come accade ogni anno, cresce il rischio di usura. Le settimane che precedono il 25 dicembre rappresentano per molte famiglie italiane un momento di forte pressione economica: aumentano le spese legate ai regali e ai consumi tipici del Natale, e di conseguenza cresce il ricorso al credito al consumo: prestiti personali, dilazioni di pagamento, formule “buy now, pay later” e rateizzazioni. Un incremento dei costi che riguarda anche artigiani e piccoli commercianti che, diversamente dai lavoratori dipendenti e dai pensionati, non possono contare né su entrate fisse né sulla tredicesima mensilità.
Le festività creano dunque pressioni sociali che spesso portano a percepire regali, cene e doni come impegni “necessari”, anche da parte di chi si trova già in condizioni economiche difficili. Un contesto che induce molte persone a richiedere prestiti pur di non deludere aspettative sociali e familiari, con un conseguente aumento dell’accesso al credito che può assumere anche forme illegali. A lanciare l’allarme è l’Ufficio studi della Cgia.
Finanziamenti e prestiti per 800mila italiani
Secondo una recente indagine commissionata da Facile.it a mUp Research, nelle scorse settimane 800mila italiani hanno dichiarato di aver utilizzato credito al consumo per l’acquisto dei regali di Natale tramite finanziamenti o prestiti personali. Tocca chiedersi, allora, se tutti si sono rivolti a banche o istituti finanziari ufficiali, oppure alcuni hanno cercato aiuto presso “amici” o semplici conoscenti, accettando condizioni potenzialmente rischiose.
Analizzando inoltre l’andamento delle insolvenze, emerge un ulteriore elemento di criticità che pesa soprattutto sulle microimprese. Dopo la riduzione registrata durante il periodo Covid, da due anni il numero di aziende con sofferenze è tornato a crescere. Al 30 giugno 2025 le imprese segnalate in sofferenza hanno sfiorato quota 122mila, con un aumento del 3,6% rispetto allo stesso periodo del 2024. La situazione più grave si registra nel Mezzogiorno, dove si contano 42.032 aziende in sofferenza, pari al 34,5% del totale, con un incremento del 6,3% rispetto all’anno precedente.
I dati
Seguono il Nordovest con 29.780 imprese (24,4%), il Centro con 29.725 (24,4%) e infine il Nordest con 20.431 (16,8%). Si tratta principalmente di lavoratori autonomi, artigiani, commercianti, esercenti e piccoli imprenditori scivolati nell’insolvenza e conseguentemente segnalati dagli intermediari finanziari alla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia. Una volta inseriti in questa classificazione, per legge, non possono più accedere a nuovi prestiti bancari. Per ottenere liquidità, dunque, restano loro solo canali “alternativi”, spesso informali o illegali, con tutti i rischi che ne derivano.
Nonostante l’aumento delle aziende insolventi, si registra però un calo delle denunce per usura. Tuttavia, come sottolineano le forze dell’ordine, il fenomeno non può essere interpretato soltanto attraverso le segnalazioni ufficiali. Gli usurai operano all’interno di reti criminali organizzate e mantengono un forte controllo sulle vittime tramite intimidazioni preventive, danneggiamenti ai beni, minacce o addirittura violenze fisiche, spesso estese anche ai familiari. Inoltre, molte vittime provano vergogna nel denunciare, soprattutto nei piccoli centri dove tutti si conoscono: un fattore che costituisce una barriera significativa alla richiesta di aiuto.
A livello provinciale, il numero più elevato di imprese insolventi si concentra nelle grandi città. Al 30 giugno, Roma risulta in testa con 10.664 aziende, seguita da Milano (7.009), Napoli (6.737), Torino (4.885) e Firenze (2.683). Guardando agli incrementi percentuali rispetto all’anno precedente, le situazioni più critiche si registrano a Grosseto, con un aumento del 20,9% (+115 imprese), seguita da Arezzo (+18,7%, +134), Siena (+17,2%, +98), Siracusa (+15,8%, +118) e Ragusa (+14,7%, +99).
Il pericolo della "black list"
Chi viene inserito nella “black list” della Centrale dei Rischi vede ridursi drasticamente la possibilità di ottenere nuovi finanziamenti dalle banche. Questo espone le imprese a due rischi: da un lato la possibile chiusura dell’attività per mancanza di liquidità, dall’altro - nel peggiore dei casi - il ricorso all’usura. Proprio per evitare che ciò accada, la Cgia continua a chiedere un rafforzamento del Fondo di prevenzione dell’usura, che oggi rappresenta l’unico strumento realmente in grado di aiutare chi si trova in una situazione finanziaria fragile. È importante chiarire che una segnalazione in “sofferenza” non indica automaticamente una cattiva gestione o comportamenti irresponsabili. In molti casi, le imprese finiscono in questa condizione perché non riescono a incassare con regolarità i pagamenti dai propri clienti o perché vengono travolte dai fallimenti degli stessi, trovandosi improvvisamente senza risorse per far fronte alle proprie scadenze.
Il contesto generale del credito bancario alle imprese negli ultimi anni rende la situazione ancora più complessa. Dal 2011 a oggi - escludendo il periodo straordinario della pandemia - i prestiti bancari alle aziende italiane sono diminuiti in modo drastico: dai 1.017 miliardi di euro di fine 2011 si è scesi a poco più di 711 miliardi nel febbraio 2020. Durante il Covid c’è stata una temporanea ripresa del credito, che ha portato lo stock a 757,6 miliardi nell’agosto 2022, ma successivamente è ricominciato il calo, fino ad arrivare a meno di 667 miliardi nel settembre di quest’anno. In totale, in 12 anni, le imprese hanno perso 350 miliardi di prestiti bancari, pari a una riduzione del 34,4%.
Le cause
Le cause di questo crollo sono diverse: la crisi dei debiti sovrani del 2012-2013, le norme introdotte dalla Bce per contenere la crescita dei crediti deteriorati (NPL) e, in parte, una minore domanda di credito da parte delle imprese. Tuttavia, è plausibile che la forte restrizione del credito da parte delle banche abbia contribuito, anche involontariamente, a spingere molti lavoratori autonomi e piccoli imprenditori in difficoltà finanziaria verso circuiti illegali di prestito, soprattutto in quei momenti in cui le organizzazioni criminali dispongono di liquidità da reinvestire.
Infine, occorre sottolineare che la classificazione in sofferenza è una decisione unilaterale della banca: scatta quando l’istituto ritiene altamente improbabile recuperare il credito concesso. Ciò avviene, ad esempio, quando una persona o un’impresa non riesce più a pagare le rate di un mutuo, di un prestito personale o di un fido bancario, e la situazione economica è considerata compromessa. Ma questa classificazione ha conseguenze molto pesanti: limita l’accesso al credito futuro e può incidere profondamente sul destino economico dell’impresa o della famiglia coinvolta.