Christian Carmine Pedocchi: "La creator economy vale 250 miliardi. Il 96% di chi ci lavora guadagna meno di un impiegato"
400 milioni di persone producono contenuti. Il 96% guadagna meno di 100.000 dollari l'anno. Secondo Pedocchi il problema non è l'algoritmo, è che nessuno ha mai deciso cosa rappresentare
Christian Carmine Pedocchi: "La creator economy vale 250 miliardi. Il 96% di chi ci lavora guadagna meno di un impiegato. Il problema è scambiare attenzione per capitale"
Nel 2024 ci sono oltre 400 milioni di creator nel mondo. Producono video, post, podcast, newsletter. Eppure solo il 4% guadagna più di 100.000 dollari l'anno. Quasi la metà dei creator full-time (il 46%) porta a casa meno di 1.000 dollari in dodici mesi.
La creator economy, a guardarla da fuori, sembra una corsa all'oro. A guardarla dai numeri, somiglia più a una lotteria dove il biglietto costa tempo e il premio dipende dall'umore di un algoritmo. Ma per Christian Carmine Pedocchi, economista del capitale reputazionale, il problema è altrove.
"Tutti guardano le views, nessuno guarda cosa resta quando le views finiscono", osserva. "La domanda che quasi nessun creator si fa è: cosa rappresento? Se la risposta è "aiuto le persone" o 'faccio informazione', il brand non esiste. È un feed, non una posizione".
Pedocchi indica un fenomeno preciso: migliaia di professionisti che "fanno content" senza mai prendere una posizione. Avvocati che inscenano dialoghi su TikTok. Agenti immobiliari con video di appartamenti e musica epica. Consulenti che dispensano tips in 60 secondi.
"Fanno views, a volte anche molte. Ma sono intercambiabili", spiega. "Se chiedi al loro pubblico 'cosa rappresenta questa persona?', la risposta è generica. Niente che li distingua dagli altri diecimila che fanno la stessa cosa".
La tesi è netta: il contenuto senza posizione è intrattenimento. E l'intrattenimento sparisce quando l'algoritmo cambia. A supporto della sua analisi, Pedocchi porta un caso che ha studiato a fondo: Alo Yoga. Brand nato nel 2007, esploso fino a 270 milioni di dollari di fatturato e una crescita del 56% nel 2022.
"Alo è interessante perché ha fatto qualcosa che va oltre il marketing", osserva Pedocchi. "Ha riscritto un codice culturale. Vent'anni fa, chi andava a fare colazione in tuta era percepito come trasandato, fuori posto. Oggi quella stessa immagine è diventata simbolo di élite, di chi può permettersi di non doversi vestire per nessuno. Non è cambiato il capo d'abbigliamento, è cambiato il significato che gli attribuiamo".
Ma il ribaltamento non è avvenuto per caso. Pedocchi scompone il meccanismo in quattro passaggi. "Primo: la riprova sociale. Alo ha costruito un ecosistema di talent, Kendall Jenner, Hailey Bieber, Gigi Hadid fotografati non in servizi patinati, ma in momenti quotidiani. La colazione, la passeggiata, il caffè. Questo è fondamentale: lo stereotipo della 'giornata normale' della celebrity entra nell'immaginario collettivo e diventa il nuovo standard di cool. Non è pubblicità, è comportamento da imitare".
"Secondo: l'amplificazione mediatica. Il talent giusto, nel momento giusto, fotografato nel contesto giusto, diventa uno scoop per le testate di moda. Hailey Bieber che fa colazione con matcha e tuta Alo non è una notizia, ma se la costruisci bene, lo diventa. E quando Vogue o Harper's Bazaar riprendono quello scatto "rubato", il messaggio si amplifica con la credibilità della testata. Sembra organico, ma è architettura", afferma Pedocchi.
"Terzo: la coerenza nel tempo. Non basta un talent, non basta uno scatto. Serve che ogni uscita, ogni ambassador, ogni momento pubblico racconti la stessa storia. Alo non ha mai detto 'yoga per tutti'. Ha detto l'opposto: yoga come lifestyle d'élite. Prezzi premium, niente sconti, nessuna concessione. Questa è identità, non comunicazione. È retaggio culturale, non content strategy", dice Pedocchi.
"Ma tutto questo funziona solo se a monte c'è una cosa: un messaggio chiaro", precisa Pedocchi. "Prima dei talent, prima dell'amplificazione, prima della coerenza nel tempo, serve sapere esattamente cosa trasmetti. Qual è la tua posizione. Cosa rappresenti e cosa no".
Secondo Pedocchi, questo è il punto dove la maggior parte dei brand e dei professionisti fallisce. "Partono dai contenuti, dai canali, dai talent. Ma non hanno mai definito il nucleo. E senza nucleo, tutto il resto è decorazione". Il messaggio chiaro, spiega, non è solo un asset di posizionamento, è anche un'assicurazione. "È lo stesso principio del crisis management: quando arriva una crisi, l'unica cosa che ti salva è avere una posizione riconoscibile a cui il pubblico può aggrapparsi. Se non l'hai costruita prima, in quel momento è troppo tardi. Il capitale reputazionale si accumula negli anni, ma si spende in un giorno. E se il conto è vuoto, non c'è comunicazione di crisi che tenga".
La campagna "Luxury Is Wellness" con Jenner ha generato un aumento delle vendite del 1.640%. Ma per Pedocchi il numero è solo la conseguenza. "Il punto è che Alo ha fatto una cosa che i creator non fanno mai: ha deciso chi escludere. Nel momento in cui dici 'questo non è per tutti', crei un club. E i club hanno valore proprio perché qualcuno resta fuori".
I dati sulla dipendenza da piattaforma confermano la fragilità di chi non ha costruito una posizione: il 77% dei creator si dichiara preoccupato di dipendere dai social per il proprio reddito. Il 70% afferma che un cambio di algoritmo avrebbe "effetti gravi" sulla propria vita. "Chi costruisce solo views vive in affitto", sintetizza Pedocchi. "L'algoritmo è il padrone di casa. Chi costruisce una posizione vive di proprietà, non dipende da quanto ti mostrano, ma da quanto ti cercano". La domanda finale è una sola: "Se domani sparisse la piattaforma su cui pubblichi, il mercato si ricorderebbe di te? E se sì, per cosa?".