Il futuro dell’Italia passa dalle sue aree più dimenticate: un Primo Maggio per chi lavora nell’ombra del sistema
In Italia, 12 milioni di lavoratori sono nelle microimprese, che producono solo il 40% del valore aggiunto, ma continuano a essere ignorate: la produttività delle mPMI è una delle sfide economiche più urgenti
1° Maggio: il lavoro che non si vede, ma che tiene insieme l’Italia delle microimprese
C’è un’Italia che non si vede quasi mai in tv, non finisce nei talk show, né nei titoli dei decreti. Un’Italia che non ha grandi distretti, non ha capitali d’impresa, ma tiene in piedi intere comunità: l’Italia delle aree interne. Delle valli senza treni. Dei comuni senza sportelli. Dei territori dove, se togliessimo le piccole attività, non rimarrebbe nulla.
Qualche settimana fa il lavoro ci ha portati ad Enna, al centro della Sicilia, dove abbiamo avuto l’opportunità di conoscere e dialogare con le piccole realtà imprenditoriali locali. Ma potremmo parlare di Isernia, di Fabriano, di Nuoro, di Rieti, di Tor Bella Monaca a Roma. Territori dove l’economia coincide con la socialità. In tutti questi luoghi – quelli che non fanno rumore, quelli che non finiscono nei piani industriali – il lavoro non è nei distretti, ma nei piccoli negozi, nei laboratori artigiani, nei capannoni delle aree interne. Qui, il sistema produttivo coincide con la comunità.
E quando una microimpresa chiude, non perdiamo solo un’impresa. Perdiamo anche un pezzo di vita. Se chiude una bottega, non scompare solo un servizio, ma un pezzo di comunità. In questi luoghi il lavoro è micro, disperso, fragile. Ma è anche tutto ciò che c’è. E allora, nel giorno in cui l’Italia celebra il lavoro, chiediamoci: che lavoro? Di chi? Dove?
In Italia, 12 milioni di lavoratori sono impiegati in imprese con meno di 20 dipendenti, 9 milioni in aziende sotto i 10 addetti, 4,2 milioni sono le imprese con meno di 10 dipendenti. Eppure, queste realtà producono solo il 40% del valore aggiunto del Paese. Numeri che dovrebbero fare notizia ogni giorno. E invece finiscono in fondo ai dossier. Perché si continua a pensare che le microimprese siano "troppo piccole per contare". La produttività delle mPMI è oggi il nodo economico e sociale centrale del nostro tempo.
Perché quando una microimpresa non innova, quando non cresce, non perde solo lei. Perde l’intero Paese. Perdiamo opportunità, lavoro stabile, innovazione diffusa. Alimentiamo la precarietà, la fuga dei cervelli, la marginalizzazione dei territori. La loro produttività è bassa non per colpa degli imprenditori, ma perché nessuno li ha mai messi in condizione di costruire un sistema impresa, il problema è che nessuno li accompagna. Il terziario avanzato non parla con il mondo produttivo reale. Le associazioni non li conoscono davvero. Lo Stato investe su grandi strategie, dimenticandosi di chi tiene in piedi interi territori con botteghe da 3 dipendenti.
Mancano connessioni, strumenti, formazione, accesso alla conoscenza. Il mondo dell’innovazione non parla con quello della produzione reale. Noi, nel nostro piccolo, ci stiamo provando. Con pazienza e fatica, stiamo cercando di costruire un ecosistema che sappia dare risposte concrete a quello che è uno dei grandi bisogni non riconosciuti del nostro Paese: trovare una soluzione al mismatch tra terziario avanzato e mondo produttivo delle mPMI, che causa la non trasferibilità della conoscenza e della cultura aziendale moderna.
Mama Industry, l’Associazione Entrobordo e il Centro Studi ProduttivItalia nascono proprio per questo: per non aspettare che il cambiamento arrivi nei territori. Ma per portarlo lì dove serve di più. Dove nessuno si “sporca le mani”, portando strumenti, formazione, metodo. Parliamo con chi produce ma è escluso dal sistema. E lo facciamo senza slogan, con un obiettivo chiaro: trasformare la microimpresa da soggetto isolato a impresa di progetto. Perché oggi, essere produttivi non significa solo produrre di più. Significa saper cambiare velocemente, avere visione, gestire la complessità. E questo non succede se si resta soli.
Perché una microimpresa più produttiva vuol dire meno precarietà, più lavoro vero, più benessere per tutti. Il nostro Primo Maggio è tutto l’anno. Fatto di ascolto, di progetti, di indipendenza. Fatto di aree interne che non vogliono più restare indietro. Non lo passiamo sui palchi, ma dentro i quartieri, tra chi lavora senza voce. Non promettiamo. Progettiamo. Perché la libertà – quella vera – comincia con un’impresa che sa dove andare.