Mediobanca, presentato a Milano lo studio "Private Equity e Mid Cap: vent'anni di storia"
Barbaresco (Mediobanca): "I numeri della ricerca raccontano che i fondi di PE hanno saputo intercettare le esigenze delle imprese negli ultimi 5 anni"
Mediobanca, pubblicato lo studio "Private Equity e Mid Cap: vent'anni di storia" in collaborazione con la LIUC Business School e AIFI
Negli ultimi vent’anni il Private Equity si è affermato come un alleato decisivo per la crescita delle medie imprese italiane, fornendo non soltanto capitali ma anche competenze manageriali e un network relazionale capace di accelerare processi di sviluppo. È questo ciò che emerge dalla ricerca congiunta realizzata dall’Area Studi Mediobanca, dalla LIUC Business School attraverso il PEM – Private Equity Monitor e dall’Ufficio Studi e Ricerche di AIFI, che hanno messo a sistema banche dati e know-how per ricostruire l’impatto del settore sugli investimenti nelle Mid Cap italiane tra il 2001 e il 2021.
Lo studio, presentato nel corso dell’evento “Private Equity e Mid Cap: vent’anni di storia”, ha offerto una visione d’insieme sul ruolo che i fondi hanno assunto nel tessuto imprenditoriale nazionale. Alla tavola rotonda hanno partecipato rappresentanti del mondo delle imprese, come Giovanni Campus, presidente di MSA Mizar, ed Enrico Giacomelli, cofondatore di Namirial, accanto a gestori di fondi quali Jean-Pierre Di Benedetto, managing partner di Argos Fund, e Lorenzo Stanca, managing partner di Mindful Capital Partners. L’apertura dei lavori è stata affidata ad Angelo Viganò, responsabile del private banking di Mediobanca, mentre la chiusura è stata curata da Lorenzo Astolfi, executive vice-chairman corporate & investment banking e head of mid corporate & sponsor solutions di Mediobanca.
La Rettrice della LIUC e direttrice generale di AIFI, Anna Gervasoni, ha sottolineato che “l'analisi mostra il ruolo fondamentale del private equity nella crescita dell'economia reale a supporto della competitività. Il mondo imprenditoriale ha compreso l'importanza di avere un fondo al proprio fianco nei momenti di cambio di passo e lo vediamo dal numero delle operazioni che sono cresciute costantemente in questi ultimi vent'anni”.
A fare eco a questa osservazione, Gabriele Barbaresco, direttore dell’Area Studi Mediobanca, ha aggiunto: “Le grandi discontinuità dell'ultimo lustro hanno portato a definitiva maturazione la consapevolezza da parte del nostro family business della necessità di imprimere un salto dimensionale e manageriale alle proprie imprese. I numeri della ricerca raccontano che i fondi di PE hanno saputo intercettare questa esigenza, offrendo leve efficaci ma al contempo calibrate sulle singole storie imprenditoriali”.
L’analisi ha preso in considerazione 319 imprese manifatturiere a controllo italiano che, tra il 2001 e il 2021, hanno visto l’ingresso di operatori finanziari. In oltre l’82% dei casi si è trattato di fondi chiusi di Private Equity, mentre il 9,4% ha riguardato holding di investimento; più limitata la quota di family office e club deal. Per quanto riguarda la tipologia di operazione, i buy-out hanno rappresentato il 62% del totale, seguiti dagli interventi di expansion (31%). I replacement e i turnaround hanno avuto un peso molto più contenuto, rispettivamente pari al 4% e al 3%.
Dal punto di vista delle motivazioni, quasi nove operazioni su dieci hanno riguardato l’ingresso diretto in imprese private, spesso di matrice familiare. Non sono mancati casi di cessione di rami d’azienda e di secondary buy-out, seppur in misura più contenuta. Degno di nota anche il 12% di operazioni di add-on, che hanno consentito a società già partecipate di crescere ulteriormente tramite acquisizioni.
La dinamica temporale racconta un’evoluzione costante: dalle 6 operazioni medie all’anno nei primi anni Duemila, si è passati a 11 tra il 2006 e il 2015, fino a 19 nel triennio 2016-2018. L’accelerazione più significativa si è registrata nel periodo 2019-2021, con una media annua di 41 deal e un picco storico nel 2021, anno in cui sono state concluse 51 operazioni, in crescita del 42% rispetto ai due anni precedenti e del 143% sul 2018. Un dato che riflette non solo la spinta del Covid e delle turbolenze geopolitiche, ma anche l’urgenza delle imprese di rafforzarsi e strutturarsi. Un altro elemento che emerge è il crescente interesse degli investitori internazionali. Se nel 2018 le operazioni estere rappresentavano circa un quarto del totale, nel triennio successivo la loro incidenza è quasi raddoppiata, arrivando al 46%.
A livello geografico, la concentrazione resta fortemente settentrionale: Lombardia, Piemonte e Toscana da sole ospitano circa il 60% delle imprese target. Sul piano settoriale, il 45% delle operazioni ha riguardato beni industriali e il 55% beni di consumo. In media, il 43% delle imprese coinvolte aveva un fatturato inferiore ai 30 milioni, mentre circa un terzo superava i 100 milioni. Gli investitori esteri hanno generalmente privilegiato aziende di dimensioni più ampie, con una media di 66 milioni di euro di fatturato, contro i 48 milioni delle target italiane.
Il profilo delle società oggetto di investimento è caratterizzato da tre tratti distintivi: elevata marginalità, basso indebitamento e forte vocazione internazionale. Nel periodo immediatamente precedente all’ingresso del fondo, le Mid Cap selezionate mostravano un EBITDA margin medio del 12,7% (contro l’8,5% delle imprese non partecipate), un rapporto PFN/EBITDA inferiore a 1,5 (contro il 3 del campione di controllo) e un peso delle esportazioni sul fatturato del 48,5%, significativamente più alto rispetto al 43% delle aziende non investite.
L’impatto del Private Equity si è manifestato con chiarezza nel biennio successivo all’ingresso. Le imprese partecipate hanno visto il fatturato crescere in media del 25%, quasi tre volte l’incremento del campione di controllo, e l’occupazione aumentare del 17,6% a fronte di un modesto +1,3% delle aziende non target. Anche il totale attivo ha registrato un’espansione significativa, +81,9% contro +13,8%.
Alcuni indicatori, come produttività e redditività, non hanno mostrato variazioni sostanziali, a conferma del fatto che le imprese scelte dai fondi partivano già da posizioni di eccellenza. La vera leva è stata quindi la crescita, favorita anche da un utilizzo della leva finanziaria calibrato e sostenibile. Se è vero che la posizione finanziaria netta è cresciuta del 63% nel biennio post-investimento, il rapporto PFN/EBITDA si è mantenuto su livelli prudenti, con una media di 2,4 volte, al di sotto della soglia critica delle 3 volte.
Il quadro che ne emerge è quello di un Private Equity capace di sostenere le imprese italiane nei momenti di trasformazione, accompagnandole verso nuove dimensioni manageriali e industriali senza compromettere gli equilibri finanziari. Una storia che, negli ultimi vent’anni, ha contribuito a ridisegnare la mappa delle Mid Cap e che sembra destinata a continuare, alla luce dell’interesse crescente degli investitori, soprattutto internazionali.