Rinuncia alla proprietà immobiliare: la porta si chiude
Dal 2026 servirà documentazione completa di conformità. Altrimenti l'atto sarà nullo
Chi vuole rinunciare dovrà sostenere spese professionali consistenti
Immaginate di aver ereditato una casa pericolante in un borgo abbandonato. Oppure un terreno in zona franosa o alluvionale dove non si può costruire nulla. O magari un vecchio capannone che richiede interventi strutturali da migliaia di euro. Fino a oggi esisteva una via d'uscita: la rinuncia “abdicativa” alla proprietà. Dal 2026 quella porta sarà praticamente sbarrata, lasciando i proprietari intrappolati con beni degradati e costosi da gestire.
L'attuale disciplina
Oggi, quando un proprietario rinuncia a un immobile, questo passa allo Stato per effetto dell'articolo 827 del codice civile. Si tratta di un atto unilaterale che non richiede accettazione: una volta formalizzata la rinuncia, la proprietà si trasferisce per legge. Un meccanismo semplice, applicabile anche a immobili fatiscenti, beni gravati da costi eccessivi o edifici in zone degradate.
La Cassazione a Sezioni Unite, nell'agosto 2025, ha confermato la legittimità di questo strumento. La rinuncia “abdicativa” è un normale esercizio del diritto di proprietà. Non serve che il bene sia utile per lo Stato: anche un immobile fatiscente può essere abbandonato legittimamente. I costi di gestione per immobili degradati sono stati definiti "inconvenienti di fatto", privi di rilievo costituzionale.
La svolta del 2026
L'articolo 129, comma 13, della legge di bilancio 2026 (in corso di approvazione) stravolge questo quadro: "L'atto unilaterale di rinuncia abdicativa alla proprietà immobiliare è nullo se allo stesso non è allegata la documentazione attestante la conformità del bene alla vigente normativa, ivi compresa quella in materia urbanistica, ambientale e sismica".
Senza la documentazione completa, la rinuncia è nulla. La proprietà resta al titolare con tutti gli oneri. La formulazione è volutamente ampia: l'obbligo copre ogni profilo della normativa vigente, dagli aspetti tecnici e urbanistici (stato legittimo, vincoli paesaggistici, normativa sismica, sanzioni edilizie) a quelli giuridici (titolarità, servitù, diritti di terzi), fiscali e civilistici (vicinato, confini, regime condominiale).
Solo un immobile conforme sotto ogni profilo potrà essere validamente abbandonato. Una "radiografia completa" che lo Stato pretende per non ricevere beni “problematici”.
Le conseguenze
Chi vuole rinunciare dovrà sostenere spese professionali consistenti: perizie tecniche, verifiche urbanistiche, indagini catastali, consulenze legali. Una attività che può costare diverse migliaia di euro, e spesso per scoprire che l'immobile non è in regola e quindi non può essere “abdicato”.
La sanzione è la nullità dell'atto, rilevabile da chiunque e non soggetta a prescrizione. Non è una nullità formale sanabile, ma sostanziale. In tal caso, l'atto non vale e la proprietà rimane al rinunciante con tutti gli obblighi di custodia, manutenzione e responsabilità.
Il paradosso è evidente. Se si applicasse lo stesso standard alle normali compravendite, il mercato immobiliare si bloccherebbe.
Per gli stessi professionisti, attestare la conformità "alla vigente normativa" è una formula talmente ampia da generare incertezza applicativa e rischi elevati.
Il cambio di paradigma
Dalla rinuncia come dismissione libera del diritto di proprietà si passa a una rinuncia condizionata, praticabile solo per immobili senza problemi. Per molti proprietari, questa riforma chiude l'unica via d'uscita da situazioni insostenibili: immobili fatiscenti, in zone a dissesto idrogeologico, gravati da costi sproporzionati.
La rigidità della norma rischia di generare effetti perversi: immobili abbandonati di fatto ma non di diritto. La domanda è semplice: era necessario chiudere questa porta? La rinuncia abdicativa costituiva una valvola di sfogo utile per il sistema. Renderla impossibile significa costringere i proprietari a rimanere incatenati a beni privi di valore, con costi e responsabilità insostenibili. Il diritto di proprietà include anche il diritto di rinunciarvi. Limitare eccessivamente questa facoltà rischia di trasformare un diritto in un'imposizione perpetua.
* Avvocato amministrativista e dottore di ricerca in diritto pubblico dell’economia