Revolut, Klarna, Intesa e Unicredit: fintech prezioso alleato delle banche

Lo scontro finale tra innovazione e tradizione raccontato con i numeri

di Marco Scotti
Economia
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Digitalizzazione, da Facebook a Intesa Sanpaolo l'innovazione spiegata con i dati

Qual è il maggior pregio e al tempo stesso principale difetto del digitale? Avere migliorato a tal punto l’efficienza e il valore di ogni singolo addetto che per ottenere gli stessi risultati dal punto di vista del fatturato servono molti meno dipendenti.

Alcuni esempi: Facebook ha quasi 60mila lavoratori nel mondo, fattura oltre 85 miliardi di dollari e ha una capitalizzazione di poco meno di 925 miliardi di dollari. General Electric fattura una decina di “billion” in meno, con oltre 300mila addetti e una capitalizzazione di 107 miliardi. Si dirà: sono due settori troppo diversi per poter essere paragonati, uno tipicamente capital intensive, l’altro totalmente dematerializzato. È lo scontro finale tra industria e servizi, insomma.

Il che è vero, anche se solo in parte. Prendiamo allora Amazon contro Walmart. Qui i due mercati di riferimento sono quasi paragonabili. Il colosso dei giganteschi mall americani fattura quasi 525 miliardi di dollari, con più di 2,2 milioni di dipendenti e una capitalizzazione di 378 miliardi. Amazon, dal canto suo, impiega 1,3 milioni di persone (è come se tutta Milano fosse assunta da Jeff Bezos), ha un fatturato di 386,1 miliardi di dollari e una capitalizzazione di 1,77 trilioni, più del triplo di Walmart

La cosa interessante da notare, però, è che contrariamente a quanto si potrebbe pensare, Amazon e i suoi fratelli non hanno eroso valore per i loro competitor tradizionali. Il valore di Walmart è quasi raddoppiato negli ultimi cinque anni (mentre quello della creatura di Jeff Bezos è aumentato del 354,5%, ma questa è un’altra storia). Perfino Volkswagen, che pure vale un ottavo in Borsa rispetto a Tesla, ha aumentato la propria capitalizzazione del 42% negli ultimi cinque anni nonostante la transizione energetica e il Covid.

Dunque il valore complessivo dei mercati in cui sono entrati prepotentemente i player digitali non è calato o non si è polarizzato verso di loro. È proprio aumentato, a riprova che queste aziende soddisfano dei bisogni accessori cui gli “incumbent” non potevano rispondere. 

Ma veniamo al settore più colpito dalla digitalizzazione: quello bancario. Qui la differenza tra Europa e Stati Uniti si fa significativa e costringe a qualche riflessione in più. Prima di tutto perché nel Vecchio Continente la capitalizzazione dei principali istituti di credito è rimasta sostanzialmente stabile in Francia e Italia, mentre è sensibilmente diminuita in Uk, Spagna e in parte in Germania. Negli Usa, invece, giganti come Jp Morgan o Bank of America hanno raddoppiato la capitalizzazione di borsa. 

Le spiegazioni sono molteplici, ma non è questo il punto fondamentale. Negli Stati Uniti la differenza di valore in Borsa tra vecchi e nuovi soggetti è ancora molto significativa. JpMorgan vale oltre 470 miliardi, Bank of America più di 360, rispettivamente con un fatturato di 119,5 miliardi (con 255mila dipendenti) e 91,24 miliardi (con 213mila lavoratori). Ma Stripe, che oggi viene valutata circa 95 miliardi, fattura 7,4 miliardi grazie a 4.000 dipendenti (dato di maggio 2021). 

Il valore per dipendente, dunque, passa da 428mila dollari in Bank of America a 468mila dollari in JpMorgan. Ma balza a 1,48 milioni nel caso di Stripe. Un salto quantico. Resta però ancora comprensibile la differenza tra old e new economy: poche sedi, pochi dipendenti, dematerializzazione dei servizi e una valutazione che è circa un quinto delle banche tradizionali. Ci sta, si potrebbe dire.

Torniamo nel vecchio Continente. Revolut, la app di servizi bancari che è sbarcata oggi in Italia, ha chiuso il 2020 con 361 milioni di dollari di fatturato, ma viene valutata 33 miliardi di euro, cioè cinque in più di Unicredit. Revolut ha circa 3.000 dipendenti, Piazza Gae Aulenti (al 30 settembre 2021) 87.102. E fattura oltre 18,8 miliardi. Klarna, la banca che offre soluzioni di pagamento dilazionato in tre tranche, viene valutata 45 miliardi di dollari. Intesa Sanpaolo, principale banca del sistema italiano, ha una capitalizzazione di 43,5 miliardi, con un utile nel 2020 di 4,53 miliardi, cioè il quadruplo delle revenue complessive di Klarna

Quindi bisogna capirsi una volta per tutte. La tendenza per il futuro non potrà che essere quella di una progressiva e sempre più stretta collaborazione (attenzione, non integrazione, collaborazione) tra fintech e sistema creditizio tradizionale. Quest’ultimo ha sicuramente delle sacche di inefficienza ancora da sanare e vedrà inevitabilmente ridurre i margini sui singoli clienti. 

Ma sbaglia chi pensa che il fintech sarà il sostituto delle banche. Le nuove app sono invece un fantastico ponte per offrire servizi verticali e molto specializzati. Un banchiere di lungo corso come Roberto Nicastro (in un convegno organizzato recentemente da Chiomenti) l’ha detto chiaramente: le fintech devono garantire qualcosa che prima non c’era, una user experience diversa, magari con l’apporto delle tecnologie.

In un’intervista rilasciata oggi a Repubblica, il ceo di Revolut Joe Heneghan – annunciando l’arrivo dell’azienda in Italia – ha spiegato molto bene che «la concorrenza è un bene per i consumatori e crea fiducia. Le persone cercano le migliori soluzioni per soddisfare le proprie esigenze finanziarie e si stanno rendendo conto sempre più spesso che molti dei servizi esistenti non forniscono abbastanza di ciò di cui hanno bisogno in termini di scelta, convenienza, costi o velocità».

Dunque il digitale che vuole trasformare le nostre vite (e in realtà l’ha già fatto) può diventare un prezioso alleato perfino dei vecchi paradigmi del mercato. C’è solo un rischio, enorme: che la remotizzazione dei servizi e il progressivo ampliamento delle funzioni svolte dalle “macchine” (in senso lato) riduca i lavoratori necessari. Su questo bisogna vigilare attentamente.