Rider, prima class action contro il cottimo: Roma insegue la svolta di Madrid

Offensiva finale della Cgil contro Deliveroo e il contratto Ugl, "ileggitimo" per il tribunale di Bologna. E "sogna" i lavoratori dipendenti della Spagna

Economia
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Una class action. La prima in Europa presentata dai lavoratori della gig economy e la prima in Italia sui temi del diritto del lavoro. Obiettivo è impedire l'applicazione a livello nazionale del contratto collettivo dei rider firmato il 15 settembre 2020 da Ugl e Assodelivery, l'associazione delle multinazionali delle consegne di cibo a domicilio composta da Deliveroo, Glovo, Foodtogo, Socialfood e Uber Eats. A promuoverla e consegnarla al Tribunale di Milano e' stata la Cgil, che con gli altri sindacati confederati ha da sempre contrastato quello che hanno definito da subito "un accordo pirata".

La prima class action nazionale, unica finora nella storia europea, "consentirebbe a tutti i rider di avere retribuzioni adeguate e condizioni di lavoro parametrate alla contrattazione collettiva di settore". Una svolta per il mercato e per il mondo dei diritti, che se nella vicina Europa, con la Spagna da apripista, corre a doppia velocità, in Italia inizia ora a mettere la seconda. L'offensiva del sindacato si inserisce nel quadro del contratto Ugl/rider: il tanto discusso accordo siglato tra l'associazione sindacale e l’associazione delle società di delivery nel settembre 2020, pesantemente criticato sia dal governo, e censurato poi dal tribunale di Bologna.

Il motivo? Per la Cgil è un contratto autonomo farsa, privo di qualsiasi diritto per i lavoratori, come ferie pagate, malattia e maternità. E soprattutto non è stato mai concordato, ma imposto dall’alto, pena il licenziamento immediato. Basato principalmente su un sistema di pagamento a cottimo, calcolato non in base alle ore effettivamente lavorate, ma sul numero di consegne effettuate. Il compenso, stabilito dall’azienda (10 euro per ogni 60 minuti di lavoro effettivo) considera di fatto solo gli spostamenti e non le ore realmente impiegate per le consegne.Un quadro impari, che ha, inevitabilmente, sollevato polemiche e ricorsi. Primo fra tutti quello del sindacato. Tanto che, nel luglio di quest’anno, persino il tribunale di Bologna, per la prima volta, ha messo nero su bianco, l’illegittimità dell'intesa Assodelivery-Ugl Rider, definendola “controversa” e “discriminatoria” e “antisindacale”.

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Riders Union Bologna, in prima linea da sempre per il sostegno dei diritti dei lavoratori, aveva dichiarato: “Un altro colpo importante è stato assestato alla filosofia del cottimo, dello sfruttamento e della discriminazione sostenuta dalle principali multinazionali del delivery”.E ora, sulla scia di questa decisione, a distanza di un mese, la Cgil incassa un altro punto importante nei confronti di Deliveroo e dichiara di aver avviato una class action, la prima di questo genere, "per contrastare l'applicazione a livello nazionale del Ccnl Ugl Rider che sancisce il cottimo come forma di retribuzione limitando i diritti dei lavoratori delle piattaforme del food delivery".

E ora, Cgil insieme alle categorie Nidil, Filcams e Filt, sulla scia di tale decisione, torna a marchiare il territorio, alzando di nuovo la voce e annunciando "la prima class action dei lavoratori della gig economy presentata in Europa e la prima in Italia in materia di diritto del lavoro". Un’iniziativa svolta che potrebbe avere effetti dirompenti nel mercato del lavoro: “Un esito positivo- infatti- ha spiegato Cgil- consentirebbe a tutti i rider di avere retribuzioni adeguate e condizioni di lavoro parametrate alla contrattazione collettiva di settore”. “Con questa ulteriore iniziativa giudiziaria, la Cgil interviene su uno dei principali fattori distorsivi della contrattazione del settore e di precarizzazione del lavoro tra i rider, che ha impedito fino ad oggi di avviare un dialogo trasparente e costruttivo finalizzato ad estendere e garantire forme di lavoro giuste e dignitose a lavoratori a forte rischio di marginalizzazione", ha chiosato il comunicato.

Ma il "salto di qualità" in Europa sembra già essere avviato con la Spagna che fa da apripista. Nella vicina Madrid, pochi giorni fa, è stata emanata per la prima volta una legge a favore dei rider: i ciclofattorini delle piattaforme digitale di consegne a domicilio come Deliveroo o Uber Eats non possono essere più considerati lavoratori autonomi, ma dipendenti regolari. A stabilirlo una modifica dello Statuto dei Lavoratori, frutto di un accordo tra governo e parti sociali, approvata in Consiglio dei Ministri come decreto legge e poi convalidata dal Parlamento spagnolo.

Il Paese iberico si colloca così il primo in Europa con una norma nazionale esplicita che regola lo status di questa categoria professionale. Sulla stessa scia anche il Belgio che ha stabilito, già da diverso tempo, che il rapporto tra un fattorino e Deliveroo non può essere definito come lavoro autonomo. Ma anche dalla Francia i segnali sono positivi: seppur qui i fattori sono inquadrati come autonomi, hanno rispetto all'Italia paghe più alte e dignitose.

E infine, nel Regno Unito, il quadro appare invece ancora controverso, soprattutto in tema di “inquadramento dei corrieri”. Nel mese di febbraio la Corte suprema britannica aveva sancito che i lavoratori del colosso dei trasporti privati Uber fossero titolati a diritti, come il salario minimo. Ma, ora a distanza di pochi mesi, la Corte Suprema continua a considerare i rider di Deliveroo lavoratori autonomi e non dipendenti.