Risparmi fermi sul conto, così gli italiani snobbano la Borsa e parcheggiano i loro soldi

Insomma, una condizione non certo ideale per lo sviluppo delle imprese...

di Maddalena Camera
Economia

Risparmi fermi sul conto, così gli italiani snobbano la Borsa e parcheggiano i loro soldi

Meglio tenere i risparmi sul conto corrente rispetto all’investimento in Borsa e dunque nell’economia reale. Lo pensano gli italiani che a fronte di un capitale di ricchezza finanziaria investibile pari a 3,7 miliardi di euro, ossia tremila e settecento miliardi, tengono una quota significativa in liquidità, pari a 1,6 miliardi.

Questi i numeri forniti da Intermonte che ha elaborato un rapporto, in collaborazione con la scuola di management del politecnico di Milano e con il supporto di Aipb (Associazione italiana Private Banking) “Economia reale e Private Banking: cosa è cambiato in Italia”. Il rapporto aggiorna l’analisi svolta nel 2020, concentrandosi sulle diverse forme di finanziamento all’economia reale del Paese e, in particolare, sul sostegno alle aziende produttive da parte dell’industria del Private Banking italiano, ossia dai professionisti che si occupano di fornire ai clienti le (si spera) migliori opportunità di investimento.

L’analisi mostra come negli ultimi sei anni il supporto del sistema paese (ossia del risparmio) all’economia produttiva, al netto delle rivalutazioni degli asset dovute alla buona performance dei mercati azionari, sia calato. Un dato evidente sia per le famiglie italiane che, in maniera molto più marcata, per le banche, che hanno sensibilmente ridotto gli impieghi verso l’economia produttiva, privilegiando l’esposizione verso i titoli di Stato.
 
La ricerca evidenzia anche un altro fenomeno. Infatti i volumi degli investimenti borsistici confluiscono per il 90% degli scambi verso le prime 40 società quotate. In questo modo si spiega il delisting di molti titoli di società quotate dato che vengono scambiate a valori scontati rispetto al loro valore reale.
 
In Italia si assiste anche a un altro fenomeno dato che la quota investita in titoli italiani, che finanziano il debito pubblico, è cresciuta di 500 miliardi negli ultimi 6 anni. In pratica la crescita del debito pubblico è stata assorbita, se così si può dire, dai risparmi delle famiglie italiane. I promotori della ricerca hanno anche evidenziato un punto fondamentale: mentre negli Usa la crescita si basa sulla deregulation e sull’Ai in Europa resta ancorata alla realizzazione di infrastrutture  e al debito pubblico. Insomma una condizione non certo ideale per lo sviluppo delle imprese che, per crescere, hanno bisogno di poter investire in tecnologie e risorse umane qualificate. 
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