Starbucks vende il 60% ai cinesi: la mossa che sblocca la disputa su Tiktok negli Usa. Caffè contro algoritmi? Il baratto silenzioso tra Washington e Pechino

Mentre Washington tenta di forzare ByteDance a cedere TikTok negli Stati Uniti, Pechino ottiene un controllo più diretto su un’icona del consumo occidentale

Economia

Starbucks riduce la propria presenza in Cina: così Washington può rilanciare su TikTok

La notizia della cessione del 60% della filiale cinese di Starbucks a Boyu Capital per 4 miliardi di dollari non può essere letta come un semplice aggiustamento di portafoglio. È, piuttosto, un tassello cruciale in un puzzle più ampio di scambi di potere tra Stati Uniti e Cina, il cui contrappunto più evidente resta (ancora) la disputa su TikTok.

L'operazione Starbucks infatti si incastona perfettamente, per tempistica e natura, nella delicatissima contesa sul social network, suggerendo l'esistenza di un tacito "scambio di asset" tra Washington e Pechino. Ma l'accordo è anche il segno di un riequilibrio tra due potenze che ormai usano le aziende come leve di politica estera. Mentre Washington tenta di forzare ByteDance a cedere TikTok negli Stati Uniti, Pechino ottiene un controllo più diretto su un’icona del consumo occidentale.

D'altra parte Starbucks, con i suoi 8.000 punti vendita, ha dovuto riconoscere la realtà di un mercato cinese sempre più nazionalista e competitivo, dove la pura forza del marchio occidentale non basta più a garantire la crescita. E così è arrivata la decisione di affidare il controllo operativo (il 60%) al fondo Boyu Capital, un attore con profonde radici nell'establishment cinese, compresi i legami con la famiglia dell'ex presidente Jiang Zemin.

Il CEO Brian Niccol lo ha detto senza mezzi termini: solo chi conosce il terreno può garantire crescita nelle città minori e tenere testa ai nuovi marchi locali. Tradotto? Starbucks rinuncia a parte della propria autonomia in cambio del diritto a restare sul mercato.

D'altra parte, la vicenda TikTok segue la stessa logica, ma a ruoli invertiti. Negli Stati Uniti, ByteDance è sotto pressione per consegnare il controllo della sua piattaforma a investitori "graditi" a Washington (e a Trump soprattutto). Ufficialmente per motivi di sicurezza nazionale, in pratica, un modo per neutralizzare l’influenza cinese su un social capace di modellare opinioni e tendenze.

Il parallelismo è quindi evidente. Gli Stati Uniti vogliono mani americane su TikTok; la Cina pretende mani cinesi su Starbucks, nessuno dei due fronti parla apertamente di "scambio", ma il risultato è lo stesso. In fondo, non è più questione di caffè o di algoritmi, è cedere un pezzo di sé pur di non essere tagliati fuori.

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