"Il futuro delle banche", il nuovo libro di Stefano Lucchini e Andrea Zoppini

Il chief communication officer di Intesa Sanpaolo, insieme ad Andrea Zoppini, pubblica il manuale che racconta come il mondo del credito sta evolvendo

Stefano Lucchini e Andrea Zoppini
Economia

"Il futuro delle banche", il testo di Stefano Lucchini e Andrea Zoppini in libreria

L’innovazione tecnologica, la globalizzazione dei mercati, l’introduzione dell’euro, l’avvento dell’unione bancaria, le numerose crisi economiche – nonché, da ultimo, la pandemia – unitamente ai mutamenti delle esigenze della clientela, rappresentano tasselli fondamentali che hanno interessato e continueranno ad interessare la nuova configurazione del credito. Non si fa mistero, ad oggi, della crisi dei modelli tradizionali dell’attività bancaria.

Il fiorire di nuove forme di intermediazione, unitamente alla nascita di nuovi player nel mercato finanziario, ha reso imprendibile per le banche il confronto con le nuove tecnologie, al fine di poter rispondere alle mutate esigenze di mercato. Si chiede, dunque, alla banca di muoversi in “spazi” nuovi, che per essa rappresentano sfide ma al contempo stimoli e opportunità inedite. Per provare a sondare che cosa attenda il mondo del credito, Stefano Lucchini e Andrea Zoppini hanno pubblicato il volume "Il futuro delle banche" (Baldini + Castoldi, 20 euro, 240 pagine).

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Stefano Lucchini e Andrea Zoppini
 

Le sfide della banca del futuro si proiettano oltre la dimensione dello spazio digitale, verso nuove frontiere della space economy. L’economia dello spazio si trova oggi di fronte a un vero e proprio punto di svolta, dovuto all’ingresso di importanti investimenti del privato nella ricerca e nell’innovazione. L’Italia occupa in questo settore un buon posizionamento competitivo. Queste sfide compongono un tessuto frastagliato di regole, dove si fiancheggiano discipline di tutela della concorrenza, del risparmio, del mercato, con quelle che stabiliscono i limiti e i rapporti nello sfruttamento delle nuove risorse spaziali, delle tecnologie, della cyber security. I nuovi spazi di movimento rendono la banca tradizionale l’attore più esposto a nuovi rischi, nonché quello su cui grava il compito più delicato di ricollocarsi all’interno della catena di valore, anche attraverso nuove forme di collaborazione e di sana competizione con gli esponenti del mondo tecnologico.


La capacità di generare valore del modello bancario tradizionale sembra essere minacciata in Europa da un cost of equity troppo elevato. Nella prima metà del 2020, infatti, le banche europee hanno registrato una media sull’indicatore del return on asset – fra i principali indici di misurazione della redditività aziendale – pari allo 0,03%, con oltre la metà degli intermediari che hanno riportato indice pari o persino inferiore allo 0,01%. Ciò implica che molte banche di piccole dimensioni sopportino ingenti costi strutturali per competere per le stesse fasce di clientela. Questo scenario suggerisce dunque di guardare al consolidamento nel settore bancario come a una delle possibili strategie per consolidare le inefficienze di sistema. L’evidenza empirica dimostra come le aggregazioni bancarie accrescano l’efficienza e la redditività del sistema, rinforzandone al contempo la stabilità.

Se guardiamo alle dinamiche di mercato, nel primo decennio di questo secolo abbiamo assistito a una straordinaria ondata di operazioni di concentrazione nel settore bancario europeo. Il numero degli enti creditizi nell’Unione europea è diminuito di quasi il 30%, con un aumento delle attività del sistema bancario nel suo complesso pari a oltre il 100%. La dimensione media di un soggetto creditizio è triplicata. Anche in Italia si è osservato un processo simile: diminuzione del numero degli enti creditizi del 10%, aumento delle attività bancarie del 75% e aumento della dimensione media della banca del 10%. Purtroppo, il processo è stato bruscamente interrotto a seguito della crisi globale finanziaria.

Il progetto Unione bancaria ha tra i suoi obiettivi la creazione di un mercato bancario europeo unico, in cui una più ampia ed efficiente raccolta del risparmio, anche in una dimensione transfrontaliera tra i Paesi membri, possa generare intermediari dotati di livelli di capitalizzazione più solidi e, in ultima istanza, capaci di prestare investimenti più massicci per fronteggiare le sfide tecnologiche e ambientali del futuro.

Nel contesto della pandemia, i legislatori nazionali e quello europeo hanno affidato alle banche il ruolo chiave di “mantenere costante il flusso di credito all’economia”. L’immissione diretta di liquidità nell’economia reale – che fosse priva di un intervento di “filtro” da parte delle banche – avrebbe difatti, verosimilmente, compromesso l’efficacia allocativa delle risorse pubbliche, raggiungendo solo parzialmente i soggetti più bisognosi di supporto e disperdendosi a causa dell’impossibilità di un controllo effettivo sulla loro destinazione. Da qui la scelta compiuta dalla maggior parte dei governi di intervenire con misure dirette a sostenere la liquidità attraverso il canale bancario. L’intento dichiarato è stato dunque di riconoscere alla banca il ruolo del complesso trade-off tra l’esigenza di agevolare il rapido afflusso di risorse verso l’economia reale e quella di garantire un’allocazione che fosse, per quanto possibile, rispondente a fabbisogni effettivi e “meritevoli”, ovvero a premiare iniziative economiche dotate di solide prospettive di crescita.

Per l’attuazione degli ambiziosi obiettivi prefissati dallo European Green Deal, fra i quali la riduzione delle emissioni di gas serra di almeno il 40% entro il 2030 (per il loro totale azzeramento entro il 2050), l’utilizzo di una quota di almeno il 32% per energie rinnovabili, il miglioramento dell’efficienza energetica di almeno il 32,5%, sono richiesti investimenti pari a circa 180 miliardi di euro l'anno. Risulta pertanto evidente come le risorse pubbliche non possano essere in grado, da sole, di garantire l’auspicata transizione verso un sistema sostenibile: la maggior parte delle risorse dovranno inevitabilmente provenire dal sistema privato. La lotta ai cambiamenti climatici e la costruzione di un ecosistema del credito sostenibile richiedono così, anche dal settore bancario, di fare la sua parte, specialmente in due direzioni. Per un verso, alle banche verrà chiesto di migliorare il proprio impatto ambientale diretto e di utilizzare più efficientemente le risorse a disposizione. Per altro, banche e istituti finanziari dovranno progressivamente annettere i rischi legati ai cambiamenti climatici e ai disastri ambientali fra i nuovi fattori “tipici” del rischio di impresa, implementando le proprie strategia aziendali e i sistemi di governance.

Le banche stanno già dimostrando il loro impegno verso la creazione di un valore che non si misuri unicamente nella chiave del tasso di crescita, ma anche della sua direzione. Ne è esempio la diffusione di prodotti concepiti per legare il profilo dell’erogazione delle risorse finanziarie alla promozione di obiettivi di sviluppo della green e della circular economy, quali l’emissione di green e social bond, di prestiti indicizzati a obiettivi di sviluppo sostenibile e l’impiego di Esg-rating. È dunque chiaro come non sia unicamente compito dello Stato quello di assumere un rinnovato ruolo di guida dei processi di innovazione e sviluppo economico, ma anche della banca, nel farsi partecipe di questo movimento, accompagnando le aziende lungo l’intera filiera di valore verso la transizione ecologica.

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