Tassi, non è la fine dei tagli: è solo un pit stop. Ora la Bce aspetta segnali dall’economia
Con l’inflazione attorno al target e una crescita rivista al rialzo, non basta più la normalità dei dati per giustificare un nuovo taglio
Christine Lagarde
Bce, l'allentamento non è finito: ma non sta a lei dettare il ritmo
La BCE ha scelto la continuità. Dopo quattro tagli consecutivi nel 2025, anche a settembre, come a luglio, i tassi restano fermi. È una pausa che sa di consolidamento, non di esitazione. Christine Lagarde ha ribadito che “siamo in un buon posto” (“we are in a good place”), ma ha alzato l’asticella della prova per ulteriori mosse: con l’inflazione attorno al target e una crescita rivista al rialzo, non basta più la normalità dei dati per giustificare un nuovo taglio. Servirebbe un peggioramento concreto dell’Outlook.
La differenza con i mesi precedenti si coglie nel linguaggio. A giugno il Consiglio aveva tagliato i tassi, descrivendo rischi per la crescita “orientati al ribasso” e un’inflazione “intorno al 2%”, rivista al ribasso rispetto a marzo.
A luglio era arrivato il primo stop, con la narrativa di un quadro “ampiamente in linea” con le valutazioni precedenti. Settembre segna un passo in più: inflazione “ampiamente invariata”, ma rischi alla crescita definiti “più equilibrati”. Un cambio semantico che pesa più dei decimali nelle tabelle. Una Eurotower che smette, cioè, di vedere il bicchiere mezzo vuoto e comincia a descriverlo mezzo pieno.
Il confronto dei numeri completa il quadro. A giugno la crescita 2025 era vista allo 0,9%; a settembre la BCE la porta all’1,2%. Sul fronte dei prezzi, si passa dal 2,0% di giugno (sia della versione mild che severe) al 2,1% di settembre.
Un decimo può sembrare marginale, ma dice molto della sensibilità della BCE ai fattori di breve: prezzi dell’energia e delle materie prime alimentari più elevati hanno prevalso sull’effetto disinflazionistico di un euro più forte. Così il quadro generale rimane di inflazione vicina al target, ma con un’incertezza dichiarata “più elevata del solito” per via di un contesto commerciale globale ancora volatile.
Dentro questi numeri si nasconde la vera ragione della pausa. La disinflazione facile è finita: i salari rallentano ma restano sopra il 3,5%, i servizi scendono solo lentamente dal 3%, e l’energia resta un’incognita destinata a tornare volatile. Allo stesso tempo, la resilienza del mercato del lavoro e la spinta degli investimenti pubblici (difesa e infrastrutture in testa) forniscono un cuscinetto alla crescita. Francoforte non può permettersi di dichiarare chiuso il ciclo, ma non ha più la fretta di riaprire la forbice dei tagli.
Il mercato ha colto bene il messaggio. L’impatto sugli indici è stato limitato, ma la rotazione settoriale è stata evidente. L’auto ha guidato i rialzi per ragioni esogene: Stellantis e le dichiarazioni di Filona. Più significativo il movimento di costruzioni, retail e industriali, che beneficiano direttamente di tassi stabili e di una crescita rivista in alto. Le banche hanno corso insieme e la Francia, con Société Générale in evidenza, ha fatto meglio grazie a un fattore implicito: la sensazione di protezione sul fronte spread, con il TPI evocato da Lagarde come rete di sicurezza. È un re-rating politico prima ancora che fondamentale.
I future sull’Euribor hanno consolidato l’idea di un plateau intorno al 2%, mentre il differenziale con i Fed Funds e la traiettoria dell’euro/dollaro mostrano che non c’è pressione per accelerare. Il messaggio che resta è duplice. La BCE ha deciso che l’allentamento non è finito, ma che non spetta a lei dimostrarlo subito: sarà l’economia, con salari, servizi e credito, a indicare se e quando servono nuovi tagli.