“Veloci sì, disumani no”, il metodo di Luca de Meo (Kering) alla prova delle realtà italiane

Riunioni snelle e chat al posto delle email funzionano. Ma con i maxi compensi dei vertici, il rischio è scivolare in una cultura che normalizza 65 ore e spegne la dimensione umana dell’impresa

di Massimo Redaelli
Economia

Il metodo di Luca de Meo, nuovo ceo di Kering, alla prova 

Nel dibattito sul “metodo de Meo” c’è un punto che in Italia non si può eludere: quanto costa quel modello, e a chi. Al vertice, i compensi restano molto superiori alla media: la RAL dei dirigenti si attesta su diverse centinaia di migliaia di euro lordi, con una quota variabile ampia. Nel 2024, nei board delle società maggiori, si è osservata una riduzione dei bonus e, in alcuni casi, un aumento della componente fissa: un movimento che mette in tensione il principio del pay-for-performance e rischia di allargare il divario con quadri e impiegati, già provati dall’inflazione.

E qui arriva il primo pro/contro. Pro: le riunioni da 60 minuti con massimo dodici persone e l’uso di canali direttiaumentano la velocità e tagliano l’inerzia; per i top team è ossigeno puro. Contro: quando la prassi diventa cultura totalizzante, il messaggio implicito è che tutti debbano adeguarsi a settimane da 65 ore. In Italia, però, esistono limiti: la media non può tendenzialmente superare 48 ore su sette giorni e, anche per chi ha funzioni direttive, la giurisprudenza riconosce tutele quando l’impegno oltrepassa la ragionevolezza. La produttività non può nascere dalla stanchezza cronica.

Il secondo fronte è la compliance. L’idea “WhatsApp prima delle email” funziona per l’allineamento tattico tra vertici, ma non regge quando la discussione sposta soldi, contratti, persone: audit trail, conservazione, discovery e privacyimpongono canali ufficiali. Il Garante ha già sanzionato aziende per l’uso di chat e social in sede disciplinare: segnale chiaro che la scorciatoia digitale può diventare rischio legale. Best practice: chat per il “qui e ora”, decisioni e delibere su sistemi enterprise con tracciabilità. 

C’è poi il tema umano. Se i vertici ben pagati e protetti indicano la iper-disponibilità come norma, i livelli sotto rischiano di vivere in iperconnessione perenne. Il nostro ordinamento ha avviato tutele sul diritto alla disconnessione e in Parlamento si lavora a ulteriori paletti: non sono orpelli, ma anticorpi contro burnout e turn-over, soprattutto tra i talenti giovani. E la regola d’oro “parla male di te, non dei colleghi” ha senso solo se si traduce in accountability diffusa, non in colpevolizzazione del singolo quando il sistema chiede l’impossibile.

Come renderlo sostenibile? Tre mosse operative. 1) Meeting Policy: memo di pre-lettura, owner, decisione attesa, hard stop a 60’; chi non decide non siede. 2) Channel governance: Decision Log unico, email/pattaforme documentali per atti e approvazioni; la chat resta tattica. 3) Orari equi: per non dirigenti, finestre “no-ping”, turni di reperibilità, obiettivi per risultati, non per ore; per i dirigenti, trasparenza su carichi, ferie e rientri. Così la velocità non brucia le prove e gli stipendi “top” non comprano il diritto all’onnipresenza.

Il metodo de Meo ha una virtù innegabile: decide. Ma in Italia funziona davvero se riconosce che l’efficienza è sorella della dignità. Altrimenti, più che un modello, diventa un megafono del potere retributivo che chiede a tutti la stessa corsa senza dare a tutti le stesse scarpe.

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