“Netflix o Paramount? La guerra per Warner Bros rischia di pesare sulle tasche degli utenti. E l’incognita Eurosport può cambiare tutto”
Salta l’accordo "quasi fatto" di Netflix e si riapre la partita. L'intervista a Paolo Carelli, ricercatore e docente di Teoria e tecnica dei media all’Università Cattolica del Sacro Cuore
Duello Paramount–Netflix su Warner Bros: il nodo della concorrenza e gli aumenti per gli abbonati
Hollywood si è svegliata con un colpo di scena che (quasi) nessuno si aspettava: Paramount ha lanciato un’offerta ostile su Warner Bros. Discovery, scardinando l’accordo da 82,7 miliardi che solo tre giorni fa Netflix aveva praticamente già confezionato, fiocchetto compreso. E invece il colosso guidato da David Ellison ha rilanciato mettendo sul tavolo 108,4 miliardi di dollari, rivolgendosi direttamente agli azionisti e bypassando il board.
Una battaglia che promette di essere più avvincente di qualsiasi serie tv che questi stessi giganti dell'entertainment possano mai produrre, anche perché Netflix aveva già iniziato a sondare il terreno, informando via mail gli abbonati dell’imminente fusione e rassicurandoli sull'assenza di rischi per la concorrenza. Ora però la controproposta di Paramount riapre completamente i giochi e solleva una domanda ancora più cruciale: chi avrà la meglio, e soprattutto come cambierà l’intero ecosistema audiovisivo? Affaritaliani ne ha parlato con Paolo Carelli, ricercatore e docente di Teoria e tecnica dei media all’Università Cattolica del Sacro Cuore.
In termini industriali e creativi, quali sarebbero le differenze più significative tra una Warner integrata in Netflix e una Warner assorbita da Paramount?
L’offerta di Netflix su Warner non prevedeva lo scorporo dell’intero pacchetto Warner: non toccava cioè l’offerta più "di flusso", come CNN e i canali televisivi più classici. Puntava invece sul catalogo Warner, prevalentemente cinematografico, e su HBO Max, la piattaforma che Warner ha acquisito insieme a HBO e che verrà lanciata anche in Italia a metà gennaio.
Nell’offerta di Paramount, invece, il rilancio prevede l’acquisizione dell’intero pacchetto Warner, comprensivo anche della parte televisiva. In Italia questo significa anche i canali lineari come Nove, Real Time e altri. A livello globale, rientrerebbe per esempio anche CNN, che non era compresa nella proposta di Netflix.
Quindi una delle principali differenze è proprio questa: Netflix farebbe l’operazione per rafforzare il suo core business, cioè l’offerta scripted, puntando su prodotti di qualità (HBO) e sullo sterminato catalogo cinematografico Warner, dai classici ai blockbuster più recenti, come Barbie. Un’acquisizione che amplierebbe e articolerebbe ulteriormente l’offerta di Netflix, lasciando però fuori la parte più di flusso, come la televisione lineare e CNN.
Resta però l’incognita Eurosport: l’asset sportivo è molto rilevante nel mondo Warner Bros. Discovery, e lo sarà ancor di più in vista delle Olimpiadi. In Italia, peraltro, la situazione è interessante perché da quest’estate Eurosport non è più disponibile su Sky: non è stato rinnovato l’accordo, e i canali sono oggi accessibili solo via streaming (DAZN o altre piattaforme). È quindi un tema centrale, soprattutto a livello internazionale, ma credo che Eurosport sia fuori dall’offerta Netflix, perché al momento non sembra interessata a entrare seriamente nella partita dei diritti sportivi, se non per qualche piccolo evento. Non è escluso che in futuro lo faccia (vedi Amazon, con la Champions) ma oggi non è una priorità per Netflix. Bisogna capire, invece, se l’offerta di Paramount includa anche Eurosport.
Un eventuale controllo di Paramount su Warner potrebbe preservare meglio l’identità cinematografica rispetto a una gestione più "streaming-centrica" di Netflix?
Intanto va detto che questo accordo non produrrebbe scossoni immediati: gli effetti completi si vedrebbero dal 2027. La paura principale è l’ulteriore accorciamento delle finestre di rilascio, il timore, cioè, che Netflix, acquisendo l’intero catalogo Warner, possa ridurre ancora di più i tempi tra l’uscita in sala e quella in piattaforma, nonostante credo che sarà tranquillamente in grado di valorizzare in modo eccellente franchise come Harry Potter anche sul piano promozionale e commerciale.
Ma la vera incognita riguarda le nuove uscite Warner: quanto verrebbero accorciate le finestre theatrical? Negli ultimi anni abbiamo visto che Netflix, quando investe pesantemente in film di alto livello o alto budget, tende a limitare al minimo l’uscita in sala, spesso solo il necessario per rispettare i requisiti normativi, per poi spostare rapidamente il titolo sulla piattaforma.
È quindi un timore più che concreto per gli esercenti e per tutto il mondo delle sale, tuttavia non è detto che un’eventuale acquisizione da parte di Netflix comporti automaticamente un accorciamento definitivo della finestra cinematografica: dipenderà dalle singole normative, dalle legislazioni e da come verranno strutturati gli accordi caso per caso.
È possibile che Paramount preservi meglio l’identità cinematografica, almeno secondo un ragionamento legato alla sua tradizione più "manageriale" nell’ambito del cinema, si potrebbe infatti pensare che un soggetto con questa storia sia più attento a certi equilibri rispetto a una piattaforma nativa come Netflix. Tuttavia, nel mondo del business, la tradizione conta fino a un certo punto: anche Paramount, infatti, ha le proprie piattaforme streaming, non dimentichiamo Paramount+, e risponde a logiche industriali simili.
In un mercato già saturo di piattaforme, la fusione tra Netflix e Warner rischia di ridurre la concorrenza creativa?
La tendenza a creare grandi conglomerati mediali, i cosiddetti media giants, è in atto da un po' di tempo nel mondo dello streaming. Pensiamo all’acquisizione di Fox da parte di Disney, a quella di Viacom da parte di Paramount (oggi controllata da Skydance), al rapporto tra Comcast e Sky: è una dinamica già ben consolidata. Semmai Netflix era uno dei pochi soggetti a non essere ancora entrato pienamente in questo tipo di processi.
Uno dei rischi maggiormente citati è la standardizzazione della creatività, perché al di là del caso specifico, i conglomerati mediali molto grandi tendono a uniformare in parte i contenuti, senza contare che soggetti più forti e più grandi possono controllare cataloghi più vasti e potenzialmente ambire alla produzione di contenuti sempre più elevati. Il nodo Warner è strettamente legato al nodo HBO, che a sua volta è figlio di precedenti acquisizioni e fusioni tra grandi gruppi.
Quali rischi corrono gli spettatori in termini di prezzi e aumenti degli abbonamenti se Warner finisse nelle mani di Netflix?
HBO significa serialità di qualità, e questo è universalmente riconosciuto, ma serialità di qualità significa anche costi elevati. Finora, in Italia, HBO in assenza di una piattaforma autonoma era disponibile tramite Sky, cioè attraverso uno degli abbonamenti più costosi, ed è quindi chiaro che queste dinamiche possano aver un impatto diretto sull’utente, già alle prese con quella che viene chiamata subscription fatigue, ovveo la fatica di dover pagare molti abbonamenti diversi per accedere all’intera offerta di contenuti. Questo vale per lo sport, per le serie e per il cinema.
Le piattaforme, per reagire al rischio che gli utenti disdicano gli abbonamenti, stanno introducendo sempre di più la pubblicità all’interno dei contenuti: lo fanno Netflix, Prime Video, Disney+ e molti altri; tutto ciò è parte della stessa tendenza globale che da decenni porta a integrazioni e a conglomerati mediali sempre più grandi. Ma esiste anche un’altra incognita: quella della regolazione pubblica. Trump stesso è intervenuto dicendo che bisognerà vedere se l’operazione supererà il vaglio dell’Antitrust, ma il punto è evitare che uno di questi soggetti raggiunga una posizione dominante che poi soffochi il mercato. Per questo, di fronte a operazioni di queste dimensioni, resta fondamentale l’intervento delle autorità di regolazione, che dovranno valutare attentamente gli effetti sulla concorrenza.